sexta-feira, 15 de fevereiro de 2019

Ipanema, Rio de Janeiro, Brasil

Ipanema, Rio de Janeiro, Brasil
Rio de Janeiro - RJ
Fotografia - Cartão Postal

Barra da Tijuca, Rio de Janeiro, Brasil

Barra da Tijuca, Rio de Janeiro, Brasil
Rio de Janeiro - RJ
Fotografia - Cartão Postal

Vendedores de Peixes (Pescivendoli) - Vincenzo Campi

Vendedores de Peixes (Pescivendoli) - Vincenzo Campi
Museu de La Roche-sur-Yon França
OST - 1579

A Cozinha (La Cucina) - Vincenzo Campi

A Cozinha (La Cucina) - Vincenzo Campi
Pinacoteca de Brera Milão
OST - 145x220 - 1590-1591

A Vendedora de Peixes (La Pescivendola) - Vincenzo Campi


A Vendedora de Peixes (La Pescivendola) - Vincenzo Campi
Pinacoteca de Brera Milão
OST - 144x217 - 1576-1580

A Vendedora de Frangos (La Pollivendola) - Vincenzo Campi

A Vendedora de Frangos (La Pollivendola) - Vincenzo Campi
Pinacoteca de Brera Milão
OST - 147x215 - 1590-1591

Vendedora de Frutas (Fruttivendola) - Vincenzo Campi


Vendedora de Frutas (Fruttivendola) - Vincenzo Campi
Pinacoteca de Brera Milão
OST - 145x215 - 1580


La Fruttivendola è un dipinto a olio su tela (145x215 cm) di Vincenzo Campi, databile al 1580 circa e conservata nella Pinacoteca di Brera a Milano. è il dipinto più celebre di una serie che comprende anche la Pollivendola, la Cucina, la Pescivendola, tutti provenienti dal convento dei gerolimitani a Cremona, intitolato San Sigismondo.
Si tratta di opere di forte contenuto naturalistico, concepite sull'esperienza fiamminga di Pieter Aertsen e Joachim Beuckelaer. Della stessa serie esiste una replica con poche varianti; si tratta di cinque tele commissionate dal banchiere Hans Fugger sempre al Campi per la propria sala da pranzo nel castello di Kirchheim, dove sono tuttora conservate. La critica dibatte tuttora sulla datazione delle due serie pittoriche.
La serie in oggetto pervenne alla Pinacoteca milanese nel 1809, aseguito della soppressione di epoca napoleonica del convento cremonese, dove era custodita altresì la tela con I mangiatori di ricotta, oggi conservata al Musée des Beaux Arts di Lione.
Il dipinto raffigura una fruttivendola nell'atto di mostrare all'osservatore la propria mercanzia, in particolare protende verso lo spettatore un grappolo di uva nera. Sullo sfondo, a sinistra, un giovane è salito sui rami di un frondoso albero per coglierne i frutti, mentre a terra una donna raccoglie altri frutti sul terreno. Sulla destra il paesaggio si estende fino a perdersi in un villaggio ai piedi di monti velati di nebbia.
Il pittore organizza lo spazio in maniera precisa: esalta le superfici degli ortaggi ostentando un piacere contagioso e immediato. Storicamente il quadro può essere considerato un predecessore di quello che diventerà un vero e proprio autonomo genere artistico pochi anni dopo, ovvero la natura morta.

Casamento da Virgem (Spozalizio della Vergine) - Pietro Perugino

Casamento da Virgem (Spozalizio della Vergine) - Pietro Perugino
Museu de Belas Artes de Caen
Óleo sobre madeira - 234x185 - 1502


Lo Sposalizio della Vergine è un dipinto a olio su tavola del Perugino, databile al 1501-1504 e conservato nel Musée des Beaux-Arts di Caen, in Francia.
L'opera venne originariamente dipinta per la Cappella del Santo Anello nel Duomo di Perugia, dove era conservata la reliquia dell'anello nuziale della Vergine. La cappella, completata nel 1489, venne ridecorata dopo che la reliquia venne recuperata nel 1488, dopo essere stata rubata da una chiesa di Chiusi.
La grande pala d'altare, dopo essere stata inizialmente commissionata al Pinturicchio, venne poi affidata al Perugino, che vi lavorò dal 1501 al 1504. Con le soppressioni napoleoniche, nel 1797, il dipinto fu confiscato tar le spoliazioni napoleoniche da Napoleonee dato allo zio cardinale Joseph Fesch, le cui collezioni vennero poi acquistate, nel 1845, in parte da un libraio di Caen in Normandia, Bernard Mancel, il quale nel 1872 le donò al Museo di Belle Arti di Caen, allora diretto dal pittore Alfred Guillard. Ogni tentativo del comune di Perugia di riavere l'opera andò fallito.
La composizione del dipinto richiama la Consegna delle chiavi che Perugino aveva affrescato circa vent'anni prima nella Cappella Sistina: ricorre infatti nello sfondo il grande edificio ottagonale a pianta centrale (simbolo del Tempio di Gerusalemme), alla fine di un pavimento a riquadri prospettici, che amplifica la scena in primo piano secondo un ideale di razionalità geometrica che è diventato tra gli emblemi del Rinascimento italiano, soprattutto dopo che venne ripreso anche da Raffaello in un celeberrimo Sposalizionella Pinacoteca di Brera (1504).
L'edificio si trova alla sommità di una gradinata, ed ha quattro protiri rinascimentali con archi a tutto sesto e cupolette in corrispondenza dei quattro lati principali, dove si aprono verosimilmente quattro portali con timpano triangolare identici. Il motivo dell'arcata, cieca, si trova anche nei lati minori. Oltre la cornice marcapiano, il secondo piano presenta un'intelaiatura decorativa con lesene, marcadavanzale e cornicione, in cui si aprono finestre rettangolari con timpano ad arco. Il coronamento, con camminamento balaustrato, è una cupola con tegoli di laterizio, tagliata dal bordo superiore del dipinto che la fa apparire ancora più imponente di quello che in realtà possa essere. Si tratta di un edificio che richiama l'ideale classico del Rinascimento, come lo immaginavano gli intellettuali dell'epoca basandosi sui trattati di Leon Battista Alberti: in realtà l'architettura dell'antica Romanon ha mai prodotto edifici con tali elementi.
Come nella maggior parte delle opere peruginesche, la composizione è impostata a criteri di simmetria, movimentati dal variare ritmico delle pose. Attorno al perno centrale del sacerdote, che sta perfettamente sull'asse dell'edificio centrale e, soprattutto della sua maestosa porta aperta sullo sfondo, sono disposti san Giuseppe, a sinistra vestito di giallo, con dietro il corteo maschile, e la Vergine Maria, a destra, seguita dalle donne. Secondo le storie di Maria infatti ella, appena uscita dal periodo monacale nel Tempio di Gerusalemme, in cui aveva trascorso tutta l'adolescenza, venne destinata alle nozze ma solo con colui che portando una mazza fosse stato prescelto da un segno divino. La mazza di Giuseppe fiorì, mentre quelle degli altri giovani no, infatti nell'iconografia dell'episodio si vede sempre almeno uno di loro che spezza la propria mazza con una gamba o il ginocchio. L'evidente senilità di Giuseppe era anche un elemento che metteva in risalto l'impossibilità di consumazione del matrimonio, sottintendendo così il dogma della verginità di Maria.
I panneggi ricadono pesanti e luminosi come macchie di colore, con quell'effetto "bagnato" che Perugino aveva appreso durante la sua formazione fiorentina nella bottega del Verrocchio.
Il paesaggio sullo sfondo mostra dolci colline, punteggiate da esili alberelli, che sfumano in lontananza verso l'orizzonte, dando l'impressione di uno spazio infinitamente vasto e profondo.