segunda-feira, 14 de junho de 2021

domingo, 13 de junho de 2021

Fontana dell'Acqua Felice, Circa 1856-1859, Roma, Itália


 

Fontana dell'Acqua Felice, Circa 1856-1859, Roma, Itália
Roma - Itália
Coleção Jane Martha St. John
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The Fontana dell'Acqua Felice, also called the Fountain of Moses, is a monumental fountain located in the Quirinale District of Rome, Italy. It marked the terminus of the Acqua Felice aqueduct restored by Pope Sixtus V. It was designed by Domenico Fontana and built in 1585–88.
At the beginning the reign of Pope Sixtus V (born Felice Peretti) in 1585, only one of the ancient Roman aqueducts which brought water to the city, the Aqua Vergine, was still being maintained and working. Everyone in Rome who wanted clean drinking water had to go to the single fountain near the site of today's Trevi Fountain. Pope Sixtus took on the responsibility of restoring other aqueducts, including the Acqua Alessandrina, which he renamed Acqua Felice after himself. The new fountain that marked the terminus of the restored aqueduct was the first new monumental wall fountain in Rome since antiquity.
The initial effort to build the aqueduct, by architect Matteo Bartolini, was a failure: Bartolini miscalculated the incline of the channel, so the flow of water was much less than needed reach the Quirinal Hill, the intended site of its terminal fountain. Giovanni Fontana took over the building of the aqueduct, which was completed by June 1587. A fountain was constructed by architect engineer Domenico Fontana in the form of an ancient Roman triumphal arch. It featured, as ancient Roman fountains did, an inscription honoring its builder, Pope Sixtus, beneath angels holding the papal coat of arms.
The iconography of the sculptures beneath the arches mingles a biblical and political motifs. The central arch featured a large statue of Moses, made in 1588 by Leonardo Sormani and Prospero da Brescia. The pope, as both religious and political ruler of the papal states, would have felt an affinity to Moses. The left bas-relief panel, sometimes referred to as a depiction of Aaron, and sculpted by Giovanni Battista della Porta, may instead reflect either the miracles by Moses at Marah, where Moses removed the bitterness of the barely potable water of a spring in Sinai, or more likely the miracle at Masah and Meribah, where he struck the rock to cause water to flow (Exodus 17:5-7). Again, the pope would have wanted his achievement of bringing water to Rome to be compared to that of Moses. Finally, the bas-relief to the right sculpted by Flaminio Vacca and Pietro Paolo Olivieri, has been depicted as Joshua, but others claim the relief references Gideon in Judges 7:5, as evidenced by soldier's gear and animals lapping water. Alternatively, given the Roman attire of the soldiers, it may reflect the founding of the ancient Roman Acqua Alessandrina by emperor Septimus Severus; the imagery would lead to having the feat of the aqueduct being compared to the achievements of ancient Rome, or as an example of the restoration of the former glory of the city. Water flows from the statues into basins, where four lions, originally Ancient Egyptian sculptures, but now copies, once were part of a monumental fountain dedicated to Marcus Agrippa in front of the Roman Pantheon, are spouting water. The columns flanking the arches are also said to have derived from that structure.
The statue of Moses was criticized at the time for its large size, not in proportion with the other statuary, but the fountain achieved its political purpose; it was a statement of how the Catholic Church, unlike the Protestant Reformation, was serving the needs of the people of Rome. It also achieved its social purpose of reviving the Quirinal neighborhood; what had been a rustic area of villas was turned into a thriving urban neighborhood by the arrival of a good drinking water supply.

Piazza di San Pietro in Vincoli, Circa 1856-1859, Roma, Itália


 


Piazza di San Pietro in Vincoli, Circa 1856-1859, Roma, Itália
Roma - Itália
Coleção Jane Martha St. John
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Piramide Cestia / Pirâmide de Céstio, Circa 1856-1859, Roma, Itália




Piramide Cestia / Pirâmide de Céstio, Circa 1856-1859, Roma, Itália
Roma - Itália
Coleção Jane Martha St. John
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La Piramide Cestia (o Piramide di Caio Cestio, Sepulcrum Cestii in latino) è una tomba romana a forma di piramide di stile egizio costruita a Roma tra il 18 e il 12 a.C. Si trova nelle immediate adiacenze di porta San Paolo ed è inglobata nel perimetro del posteriore cimitero acattolico, costruito tra il XVIII e il XIX secolo.
Fu costruita tra il 18 e il 12 a.C. come tomba per Gaio Cestio Epulone, un membro dei septemviri epulones; è in calcestruzzo, con cortina di mattoni e copertura di lastre di marmo di Carrara; è alta 36,40 metri con una base quadrata di circa 30 metri di lato e si leva su una piattaforma di cementizio.
La piramide fu costruita in soli 330 giorni, forse anche meno. Infatti Gaio Cestio dispose espressamente nel suo testamento che gli eredi gli innalzassero il sepolcro piramidale entro tale termine, pena la perdita della ricca eredità, come ricorda l'iscrizione scolpita sul fianco orientale del monumento: opus absolutum ex testamento diebus CCCXXX, arbitratu (L.) Ponti P. f. Cla (udia tribu), Melae heredis et Pothi l(iberti). Gli eredi si affrettarono ad eseguire la disposizione testamentaria, tanto che, sembra, avessero completato la costruzione della piramide con qualche giorno di anticipo.
All'interno vi è un'unica camera sepolcrale, di 5,95 × 4,10 ed alta 4,80 metri, la cui cubatura costituisce poco più dell'1% del volume complessivo del monumento. Su entrambi i lati verso oriente e verso occidente, a due terzi dell'altezza, è incisa nel rivestimento l'iscrizione che registra il nome e titoli di Cestio; sul solo lato orientale, a circa un terzo dell'altezza, sono descritte le circostanze della costruzione del monumento.
Una comparazione della forma con le Piramidi di Giza rivela che la resistenza strutturale del calcestruzzo ha permesso di costruire la piramide romana ad un angolo molto più acuto di quelle dell'Egitto. La forma più slanciata ha permesso che la Piramide Cestia raggiungesse un'altezza maggiore con la stessa quantità di materiale.
Il monumento era posto lungo la Via Ostiense, era circondato da una recinzione in blocchi di tufo, oggi parzialmente in vista, aveva 4 colonne agli angoli (di cui sono state rialzate quelle dal lato opposto dell'Ostiense) e due statue del defunto ai lati della porta.
La camera sepolcrale con volta a botte – originariamente murata al momento della sepoltura, come nelle piramidi egizie – è dipinta in bianco, con sottili cornici e figure decorative (sacerdotesse ed anfore alle pareti, 4 figure di Nike sulla volta) di stile pompeiano. È relativamente ben conservata, ma completamente nuda, e sulla parete di fondo, dove doveva esserci il ritratto del defunto, ora c'è un buco, praticato da scavatori alla ricerca di tesori.
La presenza di un monumento funebre in forma di piramide a Roma si deve probabilmente al fatto che l'Egitto era divenuto provincia romana alcuni anni prima, nel 30 a.C., e la cultura sontuosa di questa nuova provincia stava venendo di moda anche a Roma.
Nel III secolo la piramide di Cestio fu incorporata nelle Mura Aureliane, delle quali venne a costituire un bastione, e l'attuale accesso corrisponde ad una posterula che immetteva su una strada secondaria – il cui basolato è in vista – in direzione dell'emporio sul Tevere. Questa circostanza costituisce, presumibilmente, la ragione per cui il monumento si salvò dalle spoliazioni, che afflissero nei secoli tutti i marmi di rivestimento dei monumenti antichi.
Nel Medioevo, la credenza popolare identificava la Piramide come meta Remi, collegandola con un'altra piramide indicata come meta Romuli, molto simile e coeva, esistente sino al 1499 nel rione di Borgo, riportata nella Pianta della città di Roma di Alessandro Strozzi del 1474, e demolita nel XVI secolo da papa Alessandro VI per l'apertura della nuova strada di Borgo Nuovo. Lo stesso Francesco Petrarca, umanista ed esperto latinista, in un'epistola indica la Piramide Cestia come "sepolcro di Remo". Poggio Bracciolini per spiegare l'errore del grande scrittore afferma che esso fu causato dal «non avere il grande uomo voluto scoprire l'iscrizione coperta dagli arbusti».
Ai piedi della piramide, ancora dentro la cinta urbana ma immediatamente a ridosso delle mura, dal XVIII secolo si cominciò a seppellire gli stranieri non cattolici morti in Roma. Il sito fu ufficializzato nel 1821 come Cimitero degli inglesi.
Nel 2015 l'imprenditore e mecenate giapponese Yuzo Yagi, titolare della Yagi Tsusho Ltd (che distribuisce in Giappone prodotti della moda italiana) e insignito dell’onorificenza di Grande Ufficiale dal Presidente della Repubblica Italiana per il suo contribuito allo sviluppo dell’industria della moda italiana, ha finanziato il restauro della piramide costato 2 milioni di euro.

Tempio di Venere / Templo de Vênus, Circa 1856-1859, Roma, Itália


 



Tempio di Venere / Templo de Vênus, Circa 1856-1859, Roma, Itália
Roma - Itália
Coleção Jane Martha St. John
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Il tempio di Venere e di Roma (templum Veneris et Romae; nella tarda antichità noto come templum urbis) era il più grande tempio conosciuto dell'antica Roma. Situato nella parte orientale del Foro romano, occupava tutto lo spazio tra la basilica di Massenzio e il Colosseo. Era dedicato alle dee Venus Felix (Venere portatrice di buona sorte) e Roma Aeterna.
Precedentemente si trovava in questo sito l'atrio della Domus Aurea di Nerone, dov 'era collocato il colosso dell'imperatore, un'enorme statua bronzea alta 35 metri più la base. Quando Adriano decise la costruzione del tempio, procedette a ridedicare la statua al dio Sole e la fece spostare, con l'aiuto di ventiquattro elefanti. I saggi archeologici al di sotto del tempio hanno trovato i resti di una ricca casa di età repubblicana.
L'architetto del tempio fu lo stesso imperatore Adriano. La costruzione, iniziata nel 121, fu inaugurata ufficialmente da Adriano nel 135 e finita nel 141 sotto Antonino Pio. L'opera venne aspramente criticata dall'architetto imperiale Apollodoro di Damasco, che pagò con la vita la sua audacia.
Danneggiato dal fuoco nel 307, fu restaurato dall'imperatore Massenzio. Un ulteriore restauro fu eseguito sotto Eugenio, un effimero usurpatore (392-394) contro Teodosio I, la cui politica mirava alla restaurazione dei culti pagani. Nella tarda antichità al tempio, noto come templum urbis, era associato un collegio sacerdotale, quello dei XIIviri urbis Romae.
Nel 625 iniziò la rovina del tempio, il cui tetto fu rimosso da papa Onorio I per riutilizzarne i materiali nell'antica basilica di San Pietro in Vaticano. Nel IX secolo un terremoto distrusse il tempio. Sul suo lato nord fu costruita, nel IX secolo, la basilica di Santa Maria Nova (dal XV secolo divenuta basilica di Santa Francesca Romana).
Tra il 1933 e il 1935, nel corso dei lavori per aprire la via dei Fori Imperiali, il tempio fu soggetto a un restauro generale, su progetto di Antonio Muñoz. Furono dissotterrate e allineate nella posizione originaria 22 colonne del portico esterno, utilizzando 60 tronchi di granito bigio trovati nell'area; Muñoz fece ricorso, per la ricostruzione degli elementi architettonici mancanti, alla piantumazione di essenze arboree, basandosi sulle sperimentazioni effettuate da Giacomo Boni e da Raffaele De Vico. Oggetto di ricostruzione arborea fu la scala di accesso alla platea, realizzata con gradini di bosso, le murature perimetrali della cella, integrate da arbusti di alloro nelle parti rovinate dal tempo, mentre le colonne mancanti furono ricostruite nel loro volume di base da cespugli di ligustro. L'incuria di decenni aveva danneggiato seriamente le ricostruzioni arboree e l'ultimo restauro le ha definitivamente eliminate. Il monumento, dopo anni di chiusura, è stato riaperto al pubblico nel 2010.

Santa Pudenziana / Basílica de Santa Pudenciana, Circa 1856-1859, Roma, Itália


Santa Pudenziana / Basílica de Santa Pudenciana, Circa 1856-1859, Roma, Itália
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Piazza Barberini, Circa 1856-1859, Roma, Itália


 

Piazza Barberini, Circa 1856-1859, Roma, Itália
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Viale Gabriele D’Annunzio, Circa 1856-1859, Roma, Itália


 

Viale Gabriele D’Annunzio, Circa 1856-1859, Roma, Itália
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Villa Medici, Circa 1856-1859, Roma, Itália


 

Villa Medici, Circa 1856-1859, Roma, Itália
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Edificio Horti Liciniani / Tempio Minerva Medica, Circa 1856-1859, Roma, Itália

 





Edificio Horti Liciniani / Tempio Minerva Medica, Circa 1856-1859, Roma, Itália
Roma - Itália
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Il cosiddetto tempio di Minerva Medica è un edificio romano situato in via Giolitti, nel rione Esquilino di Roma. L'imponente costruzione a cupola, ben visibile dai treni che transitano per la stazione Termini, risale presumibilmente all'inizio del IV secolo e si trova oggi stretta tra i binari ferroviari ed i palazzi costruiti alla fine del XIX secolo per il nuovo quartiere Esquilino.
L'edificio non è un tempio, come fu erroneamente creduto per lungo tempo, ma una sala monumentale entro il recinto di una lussuosa residenza extraurbana che occupava in antico la zona, tra la chiesa di Santa Bibiana e Porta Maggiore, sull'asse viario che usciva dalla Porta Esquilina, corrispondente probabilmente al complesso degli Horti Liciniani.
Fino alla metà del XVI secolo l'edificio fu fantasiosamente ritenuto intitolato ai filii adoptivi di Augusto, Gaio e Lucio Cesari (Basilica, thermae Gai et Luci) o ad Ercole Callaico (Terme Gallice), da cui deriva la corruzione popolare del toponimo in «Le Galluzze», «Galluccie» o «Galluce» attestato nella cartografia storica e nei trattati di erudizione.
Secondo Rodolfo Lanciani, la confusione che fece identificare il padiglione come tempio risale al XVII secolo, quando si attribuì a questi scavi una statua di Minerva con ai piedi un serpente (animale sacro ad Esculapio), trovata in realtà in Campo Marzio (ora ai Musei Vaticani). In verità la denominazione è anteriore, utilizzata già nel XVI secolo da Pirro Ligorio, che studiò l'edificio e ne disegnò la pianta indicandovi i luoghi di ritrovamento di statue e colonne. Ragione dell'equivoco potrebbe essere stata un'interpretazione delle fonti che indicavano un tempio di Minerva nell'area o il rinvenimento di un ricco corredo votivo nei pressi della vicina via Labicana.
La costruzione, a pianta centrale decagonale, era probabilmente un ninfeo, sebbene sia stata ventilata l'ipotesi di uno spazio a carattere termale, considerato il vasto ipocausto rinvenuto sotto una parte dell'aula principale, oppure di una sala triclinare. Il padiglione doveva probabilmente far parte di un più articolato complesso edilizio, forse di proprietà imperiale, con funzione di rappresentanza e di svago (specus aestivus).
A partire dal V secolo, in conseguenza del completo spopolamento della zona dell'Esquilino, esso rimase in stato di abbandono come isolata ed incongrua presenza monumentale nella campagna.
Nel corso del Rinascimento, poiché la sua struttura si presentava in buone condizioni di conservazione, il monumento fu oggetto d'interesse da parte di diversi architetti (Giuliano da Sangallo, Baldassarre Peruzzi, Sallustio Peruzzi e Palladio), che lo disegnarono indicandolo come modello per alcuni progetti fiorentini, in particolare quelli della rotonda della basilica della Santissima Annunziata e della Rotonda di Santa Maria degli Angeli di Filippo Brunelleschi. Pare che il Brunelleschi avesse studiato l'edificio durante i suoi viaggi a Roma proprio per escogitare il modo di costruire la cupola di Santa Maria del Fiore.
Nel corso del XVI secolo vi furono ritrovamenti di statue e reperti d'interesse artistico nei dintorni dell'edificio. Vasi metallici, medaglie e frammenti di statue furono rinvenuti in una vigna alle spalle del monumento, che si presentava parzialmente interrato e fu scavato per la prima volta sotto il pontificato di Giulio III (1550-1555) dal medico Cosmo Giacomelli. Alcuni reperti trovati in vari punti degli horti furono donati al papa per adornare Villa Giulia.
Nel 1828, dopo un periodo in cui il rudere - nonostante l'interesse di studiosi e artisti - continuò ad essere vittima di spoliazione di materiali, crollò buona parte della sommità della cupola. L'anno seguente un fulmine arrecò alla struttura ulteriori danni e l'edificio restò a lungo in abbandono con un peggioramento delle condizioni generali.
Tra il 1878 ed il 1879, durante i tumultuosi lavori di urbanizzazione che cambiarono drasticamente l'aspetto di tutto l'Esquilino, furono rinvenute alcune statue e pregevoli elementi di decorazione architettonica.
Più recentemente l'edificio, dopo aver ricevuto parziali restauri nel 1942 e nel 1967, è stato oggetto di una campagna di saggi e studi nel 2006 e di interventi complessivi di consolidamento negli anni successivi, in attesa di una sua possibile e prossima apertura al pubblico.
L'edificio consiste in una vasta sala a pianta decagonale coperta da una cupola sostanzialmente emisferica ma con centro ribassato, che - con il suo diametro di 25 metri - è la terza a Roma per dimensioni, dopo il Pantheon e le Terme di Caracalla.
Su nove lati del perimetro si aprono delle nicchie semicircolari, non tutte conservate, che sporgono esternamente e che forse ospitavano statue, mentre sul decimo lato, a nord, si trova l'ingresso sovrastato da un arco a tutto sesto. In tal modo la cupola appoggia sostanzialmente su dieci pilastri posti ai vertici del decagono.
I muri perimetrali sono in opus latericium e risalgono, da un'analisi dei bolli dei mattoni, all'epoca di Massenzio e di Costantino I. Alcune strutture accessorie in opus vittatum con alternanza di mattoni e tufelli, conservate per un'altezza di circa un metro, risalgono probabilmente ad una fase costruttiva poco posteriore e costituiscono le testimonianze materiali superstiti di un nucleo edilizio annesso alla grande sala (vano biabsidato a nord, grande esedra a est), oltre che d'un intervento di consolidamento strutturale della cupola di poco successivo alla sua costruzione (due contrafforti esterni a sud). I collegamenti con il resto del complesso dovevano avvenire tramite alcune delle nicchie che in origine erano aperte da colonnati.
Sopra gli arconi delle nicchie si trova il tamburo decagono con contrafforti negli angoli e dieci finestroni. La forma decagonale passa in modo impercettibile, tramite una piccola cornice, al perimetro circolare della cupola, solo in parte conservata, che è realizzata con l'impiego di calcestruzzo ad alta specializzazione disposto con stratificazione orizzontale e progressivamente alleggerito con caementa di pomice in corrispondenza del cervello della volta (cfr. Pantheon). La struttura presenta, inoltre, nervature radiali in laterizio a scopo di generale irrobustimento e ripartizione dei carichi, mentre l'esistenza di un occhialone (oculus) al cervello della cupola è solo ipotetica.
L'apparato decorativo è stato oggetto di spoliazioni durate secoli, al pari della maggior parte degli edifici della Roma imperiale. La cupola era originariamente rivestita da mosaici in pasta vitrea, poi ricoperti da un sottile strato d'intonaco; sui pavimenti erano mosaici e opus sectile realizzato con porfido ed altri vivaci marmi colorati, mentre le pareti, movimentate da elementi di decorazione architettonica quali trabeazioni, lesene e colonne forse d'ordine corinzio, erano rivestite con lastre di marmo (crustae) allettate nella classica preparazione di malta e frammenti di coccio (cocciopesto). L'esterno della cupola è costituito da cinque gradoni in pietra e tufo.