Entrada de Vittorio Emanuele II em Veneza em 7 de Novembro de 1866, Itália (Entrata di Vittorio Emanuele II a Venezia il 7 Novembre 1866) - Gerolamo Induno
Veneza - Itália
Museu do Risorgimento, Milão, Itália
OST
Il plebiscito
del Veneto del 1866, conosciuto ufficialmente anche come plebiscito di Venezia, delle province venete
e di quella di Mantova, fu un plebiscito che avvenne nelle giornate di
domenica 21 e lunedì 22 ottobre 1866 per sancire l'annessione al Regno d'Italia delle terre cedute alla Francia
dall'Impero austriaco a seguito della terza guerra di indipendenza.
Nell'aprile 1866
il Regno d'Italia strinse un'alleanza
militare con la Prussia, avente lo scopo di unire "la Venezia" e Trento al proprio
territorio. L'alleanza fu mantenuta nonostante l'offerta austriaca di cedere il
Veneto alla Francia di Napoleone
III (l'Austria ufficialmente non aveva rapporti diplomatici con
l'Italia), che a sua volta l'avrebbe consegnato all'Italia. La terza
guerra di indipendenza, scatenata da parte italiana nel quadro più vasto
della Guerra
austro-prussiana, vide, dopo l'iniziale sconfitta nella battaglia di Custozaavvenuta quattro giorni dopo la
dichiarazione di guerra del 20 giugno, i successi militari di Garibaldi in Trentino, a Bezzecca,
e di Cialdini,
che giunse fin oltre Palmanova e
vinse la battaglia
di Versa. La sconfitta della marina italiana nella battaglia
di Lissa, avvenuta il 20 luglio, convinse il Regno d'Italia ad
accettare una tregua a partire dal 25 luglio e a iniziare le trattative che
portarono la fine delle ostilità sul fronte italo-austriaco con l'armistizio
di Cormons, firmato il 12 agosto.
La tregua del 25
luglio congelava i movimenti di truppe e, a quella data, risultava liberato
dalla dominazione austriaca tutto il territorio residuo dell'ex Regno
Lombardo-Veneto, con l'esclusione delle sole fortezze
del Quadrilatero: Verona, Legnago, Mantova e Peschiera
del Garda, oltre a Palmanova e Venezia, quest'ultima città
caratterizzata da un forte simbolismo unitario e dal ricordo della sua
rivolta durante i moti
del '48.
L'Austria, sconfitta dalla Prussia (armistizio di Nikolsburg), cedette con il trattato di Praga del 23 agosto 1866 i territori
residui del Regno Lombardo-Veneto alla Francia, nell'intesa che Napoleone III li consegnasse a Vittorio Emanuele II previa organizzazione di una
consultazione, che formalmente avesse confermato la volontà popolare alla
liberazione del Veneto dal dominio
austriaco.
La forma del
trattato, per quanto riguardava il plebiscito, non incontrò i favori del re e
del governo italiano:
«Il plebiscito
si trova un atto veramente ridicolo e urta moltissimo il Re. [...] Cosa
diventa adunque il Plebiscito? Io non sono così persuaso che sia inevitabile.
Che può venirne non lo facendo? L'Austria non mi pare che potrebbe portarlo
in campo come condizione per evacuare. Oramai la stipulazione tra Austria e
Francia ha avuto effetto. Noi faremo un trattato da soli con l'Austria e in
questo trattato non parleremo di Plebiscito.»
|
(Lettera del
presidente del Consiglio Bettino Ricasoli al
ministro degli Esteri Emilio
Visconti Venosta, 4 settembre 1866)
|
«I giornali
italiani vi avranno a quest'ora informato della cattiva impressione prodotta
dal Trattato di cessione alla Francia e dalla missione del generale Leboeuf.
Il plebiscito istesso che doveva essere un modo d'evitare una retrocessione
prese sotto la penna del Governo Francese e dello stesso Imperatore la forma
d'una condizione restrittiva della cessione. [...] E notate che dove il
progetto del plebiscito fu peggio accolto, fu appunto nel Veneto. [...]
Le truppe
italiane entreranno tosto in Venezia e nelle altre fortezze, e insieme alle
truppe saranno installate le autorità italiane. In questo modo s'intenderà
compiuta la consegna e la riconsegna delle fortezze e dei territori e finita
la missione del Generale Leboeuf. Il plebiscito avrà luogo dappoi contemporaneamente
in tutto il Veneto, provocato dalle Municipalità e come una manifestazione
spontanea della volontà del paese. In questo modo dopo firmata la pace, in
tre o quattro giorni tutto sarebbe finito, perché in Venezia e in Verona
entrerebbero i nostri soldati e sarebbero installate le nostre autorità. La
Venezia sarebbe nostra e il plebiscito apparirebbe come una formalità
susseguente. [...] Se le nostre truppe non potessero entrare, se non dopo il
plebiscito, in Venezia, se il Generale Leboeuf dovesse rimanervi come il
rappresentante d'una sovranità, chiamare le popolazioni a votare etc. etc.,
il paese, credetelo, sarebbe posto a troppo dura prova, il Governo
screditato, il Re costretto ad accettare una situazione le cui conseguenze
non sarebbero così presto cancellabili.»
|
Al plebiscito era
contrario anche il Comitato veneto centrale, che a tale riguardo citava la
richiesta dei Veneti nel 1848 a favore di una fusione col Piemonte delle loro
provincie stando sotto la dinastia Savoia, richiesta rinnovata a guerra
finita nel 1859.
Il trattato di Vienna del 3 ottobre 1866, concluso fra
Austria e Italia, stabiliva le condizioni della consegna e affermava nel suo
preambolo che l'imperatore d'Austria aveva ceduto il Regno Lombardo-Veneto
all'imperatore dei francesi, il quale, a sua volta, si era dichiarato pronto a
riconoscere la riunione del "Regno Lombardo Veneto agli Stati di Sua
Maestà il Re d'Italia, sotto riserva del consenso delle popolazioni debitamente
consultate". L'articolo 14 del trattato permetteva agli abitanti
della regione, che l'avessero desiderato, di trasferirsi con i loro beni negli
stati che rimanevano sotto il dominio dell'impero austriaco, conservando quindi
il loro stato di sudditi austriaci. L'evacuazione del territorio ceduto
dall'Austria, dettagliata nell'articolo 5, sarebbe cominciata immediatamente
dopo la sottoscrizione della pace, la cui data sarebbe coincisa col giorno
dello scambio delle ratifiche del trattato di Vienna, come riportato nel primo
articolo del trattato.
Da parte del governo italiano venne presentata a Vittorio
Emanuele II la Relazione del Presidente del Consiglio e del Ministro di grazia e
giustizia e dei culti a S. M. il Re intorno di plebiscito delle Provincie
Venete: la relazione iniziava con un preambolo in cui si
affermava che il Regno d'Italia «crebbe e si ingrandì con il consenso spontaneo
dei popoli ansiosi di dare all'idea nazionale una forma, che ne assicurasse lo
svolgimento, e fosse all'Europa una guarentigia di ordine e di civiltà»;
venivano poi ricordati gli eventi del 1848 e le connesse manifestazioni di
intenti di unione col Regno, a cui seguirono «diciassette anni di
resistenze e di patimenti». In risposta alla relazione il sovrano emanò il 7
ottobre il regio decreto n. 3236 per la convocazione del plebiscito, all'insaputa dei francesi, pubblicato
in Gazzetta
Ufficiale solo il 19 ottobre.
In quei giorni era iniziata la consegna ufficiale delle
fortezze e delle città da parte dei francesi alle autorità locali, seguita
dall'ingresso delle truppe italiane: Borgoforte l'8 ottobre, Peschiera del Garda il 9 ottobre, Mantova e Legnago l'11 ottobre, Palmanova il 12 e Verona il 15, mentre Venezia fu consegnata per ultima il 19
ottobre.
Il 17 ottobre
venne emanato il decreto di convocazione per il plebiscito e rese note le sue
modalità: le votazioni sarebbero avvenute i giorni 21 e 22 ottobre, mentre lo
spoglio delle urne sarebbe avvenuto dal 23 al 26; infine, il 27 il tribunale di
appello di Venezia, riunito in seduta pubblica, avrebbe sommato i dati e
comunicato i risultati al Ministero della giustizia a Firenze(all'epoca capitale d'Italia) e una
deputazione di notabili sarebbe partita per portare i risultati a Vittorio
Emanuele II. Contemporaneamente fu indicato che Venezia, Padova, Mantova,
Verona, Udine e Treviso sarebbero
state sede di intendenze militari.
La notizia del
decreto di convocazione, diffusa dalla stampa il 17 ottobre, provocò la
reazione del generale plenipotenziario francese Edmond Le Bœuf, che
protestò che «a fronte delle determinazioni reali, la sua consegna del Veneto a
tre notabili onde organizzino un plebiscito, diventa derisoria [...] e d'altra
parte essendo il Decreto Reale una violazione del trattato, egli protestava che
ne riferiva al suo Governo, e che senza ordine ulteriore dall'Imperatore non
avrebbe rimesso il Veneto». Genova Thaon di Revel riuscì a convincerlo che si
trattava solo di istruzioni preparatorie date ai comuni, facendogli
ritirare la protesta, ma ammise che «in fondo aveva ragione».
La guarnigione
austriaca aveva iniziato l'abbandono della città di Venezia già dalla notte del
18 ottobre, con i primi reparti imbarcatisi sui bastimenti del Lloyd triestino di navigazione e
il resto della truppa raccolta, in attesa dell'imbarco, sul Lido.
Nella mattina del
19 ottobre il generale Le Bœuf, che alloggiava nell'albergo Europa, riunì il
commissario militare austriaco generale Karl Möring, il generale
italiano Thaon di Revel, la municipalità di Venezia, la commissione incaricata
di ricevere il Veneto, il console generale di Francia M. de Surville e M.
Vicary per espletare le procedure del passaggio del potere.
Le formalità si
svolsero in quattro fasi:
·
alle ore 7:00
Möring consegnò la fortezza di Venezia al rappresentante francese Le Bœuf;
·
alle ore 7:30 il
generale Le Bœuf rimise la piazzaforte di Venezia nelle mani della municipalità
cittadina e degli assessori Marcantonio Gaspari, Giovanni Pietro Grimani e
Antonio Giustiniani Recanati;
·
Quindi Möring
consegnò il regno Lombardo-Veneto al rappresentante francese Le Bœuf;
·
alle ore 8:00 il
generale Le Bœuf "riconsegnò" infine il Veneto a Luigi Michiel e Edoardo De Betta,
rappresentanti rispettivamente di Venezia e Verona, scelti su suggerimento di
Thaon di Revel, che firmarono il verbale di riconsegna; Achille
Emi-Kelder, rappresentante di Mantova, era invece momentaneamente assente per
un'improvvisa indisposizione e firmò più tardi l'atto di cessione.
La riconsegna del
Veneto venne presentata da Le Bœuf con la seguente dichiarazione:
«In nome di S.
M. l'Imperatore dei Francesi, ... : Noi Generale Le Boeuf visto il
trattato firmato a Vienna il 22 Agosto 1866 tra l'Imperatore dei Francesi e
l'Imperatore d'Austria circa il Veneto: Vista la consegna a Noi fatta del
Veneto il 19 Ottobre 1866 dal Generale Móhring Commissario di S.M.
l'Imperatore d'Austria nel Veneto dichiariamo di restituire il Veneto a se
stesso a ciò le popolazioni dispongano del loro destino e possano esperire
liberamente col suffragio Universale i loro voti per l'annessione del Veneto
al Regno d'Italia. »
|
Quest'ultima
cerimonia era originariamente prevista nella sala
del Maggior Consiglio del palazzo
ducale, ma - secondo Dubarry - Le Bœuf ritenne più opportuno
concentrare tutte le varie consegne in un unico evento e luogo, al fine di non
lasciare lunghi intervalli di tempo tra un passaggio di potere e un altro.
Subito dopo la
firma, Michiel fece innalzare il tricolore sui pennoni di piazza San Marco, mentre
suonavano e rimbombavano salve di artiglieria; in seguito, in base agli accordi
presi, chiese a Thaon di Revel di far entrare le truppe italiane nella città.
Il generale italiano, recatosi alla stazione ferroviaria assieme agli
assessori, accolse così i propri militari, che sfilarono per la città suddivisi
in tre colonne, ciascuna preceduta da una banda civica: la prima percorse la
strada di Cannaregio,
la seconda la strada dei Tolentini e la terza navigò sul Canal Grande con
barconi. Dopo aver attraversato la città tutta in festa e pavesata di
tricolori, alle 15.00 i tre cortei confluirono in piazza San Marco con una
sfilata che si prolungò per altre due ore.
Il giorno stesso
venne pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale il decreto del 7 ottobre per il plebiscito.
«Al Presidente
del Consiglio dei Ministri è pervenuto oggi alle ore 10 ¾ antimeridiane il
seguente dispaccio da Venezia:
La bandiera Reale italiana sventola dalle antenne di piazza San Marco, salutata dalle frenetiche grida della esultante popolazione. - Generale Di Revel
Il Presidente
del Consiglio dei Ministri rispose immediatamente con questo dispaccio:
Alla Rappresentanza municipale di Venezia - Il Governo del Re saluta Venezia esultante mentre la bandiera nazionale italiana sventola dalle antenne di piazza San Marco, simbolo di Venezia restituita all'Italia, dell'Italia restituita finalmente a se stessa. - Ricasoli» |
(Gazzetta
Ufficiale, 19 ottobre 1866)
|
Secondo alcune
fonti, il 19 ottobre il Veneto sarebbe stato invece ceduto direttamente
dall'Austria al Regno d'Italia: il quotidiano Gazzetta
di Venezia in pochissime righe riportò che: «Questa mattina in
una camera dell'albergo
Europa si è fatta la cessione del Veneto».
Il 20 ottobre
giunse a Venezia il commissario regio Giuseppe Pasolini, nominato
già dal 13 ottobre.
La votazione per
il plebiscito ebbe luogo nei giorni 21 e 22 ottobre 1866; a Venezia gli uffici
elettorali rimasero aperti dalle 10:00 alle 17:00 in entrambi i giorni.
Il plebiscito fu
a suffragio
universale maschile. Le istruzioni di voto, stabilite dal
decreto del 7 gennaio, vennero diffuse alla popolazione tramite manifesti,
come nel caso della città di Mantova:
«La popolazione
di questa Città come delle altre del Veneto, viene invitata ad esprimere la
sua volontà di riunirsi al REGNO D'ITALIA mediante PLEBISCITO, e perché ciò
possa compiersi senza indugi, è intenzione del Governo del RE che si ponga
mano subito alle relative disposizioni.
La votazione
seguirà nei giorni 21 e 22 corrente in ore da destinarsi. La Città di Mantova
sarà divisa in sei Sezioni in ciascuna delle quali funzioneranno cinque Probi
Viri per la legalità dell'atto.
Saranno ammessi
a dare il loro voto tutti i Cittadini che hanno compiuti gli anni 21, che
sono domiciliati da sei mesi nel Comune e, meno le donne, non è escluso che
chi subì condanna per crimine, furto o truffa. I Cittadini che hanno fatto
parte dell'Esercito Nazionale o dei Volontarii durante la campagna per
l’indipendenza Nazionale saranno ammessi al voto anche se non abbiano
compiuti gli anni 21.
La votazione
seguirà secondo la formola qui sotto esposta. I bollettini stampati in questo
senso si distribuiranno in località che saranno indicate con altro avviso. I
Cittadini esprimeranno la loro volontà di aggregarsi al Regno d'Italia
portando all'urna che si troverà nella località pure da destinarsi o il
bollettino stampato od altro anche manoscritto che valga alla manifestazione
della volontà.
CITTADINI
Accorrete
festosi al compimento di un atto che nel mentre assicura un èra da tanto
sospirata addimostrerà anche novellamente che fra noi non esiste che un unico
voto una sola aspirazione, l'unione nostra alla grande famiglia Italiana
sotto l'egida del Magnanimo Re VITTORIO EMANUELE.
FORMULA
«Dichiariamo la nostra unione al Regno
d'Italia sotto il Governo Monarchico costituzionale del Re Vittorio Emanuele
II e de' suoi successori»»
|
(Manifesto del
Municipio di Mantova, 18 ottobre 1866)
|
Era pertanto
possibile votare consegnando un qualsiasi foglio contenente il testo del
quesito, aggiungendo Sì oppure No.
Coloro che avevano
diritto al voto in quanto maschi di età maggiore di 21 anni costituivano circa
il 28% della popolazione residente; tale dato approssimativo è ottenuto
considerando i maggiori di 21 anni come pari al 55% degli abitanti ed
escludendo la popolazione femminile (50%), secondo i dati rilevati dal
censimento del 1871. Secondo il censimento austriaco del 1857, rispetto alla
popolazione totale, gli uomini con età maggiore di 21 anni erano il 27% nelle
province venete (624.728 su 2.306.875) e il 28% nei cinque distretti mantovani rimasti
all'impero dopo il 1859 (40.461 su 146.867).
Il quesito
riguardava l'adesione delle province del Veneto (che all'epoca includeva anche
le province dell'odierno Friuli centro-occidentale) e quella di Mantova al
Regno d'Italia.
L'affluenza al
voto fu molto alta, oltre l'85% degli aventi diritto al voto. Nel solo
distretto di Padova votarono 29.894 elettori, pari a circa il 98% degli
aventi diritto.
Nel comune di
Venezia gli aventi diritto erano 30.601, ma votarono 4.000 persone in più
(34.004 sì, 7 no e 115 nulli), poiché furono ammessi al voto anche i militari e
gli esiliati che erano rientrati.
La partecipazione al plebiscito del 1866 della minoranza
friulana di lingua slovena della cosiddetta Benecija o Slavia
Veneta (situata
nell'odierna provincia di Udine), fu particolarmente significativa. L'Impero
austriaco, infatti, dopo il trattato di Campoformio aveva annullato l'autonomia giuridica, linguistica
e fiscale un tempo riconosciuta dalla Serenissima alla comunità slovena, la
quale anche per questo motivo aderì alle idee risorgimentali, che andarono
ampliandosi sempre di più dopo la breve parentesi del 1848. Il voto
antiaustriaco degli sloveni fu unanime: su 3.688 votanti vi fu una sola scheda
contraria al Regno d'Italia. Il passaggio al Regno d'Italia comportò molti
cambiamenti economici, sociali e culturali per tale territorio, ma iniziò
anche una politica di italianizzazione delle Valli del Natisone e del Torre, che nei decenni successivi al
plebiscito alimentò un progressivo sentimento di delusione delle speranze di
riconoscimento dell'identità slovena.
In varie città del
regno d'Italia ci furono votazioni per gli emigrati e gli esiliati veneti, in
quanto l'articolo 10 del decreto stabiliva che avrebbero potuto votare
"tutti gli Italiani delle provincie liberate che si trovassero, o per
ragioni di pubblico servizio o per qualsiasi altro motivo in qualunque parte
del Regno"; a Torino, ad esempio, ci furono 757 votanti, tutti per
il Sì.
A Firenze la
votazione divenne una manifestazione pubblica:
«Firenze, 21 ottobre 1866
I Veneti e
Mantovani residenti in Firenze adunavansi quest'oggi a mezzogiorno al palazzo
municipale onde recarsi in forma solenne a deporre il voto per l'unione della
loro terra natale all'Italia. Erano in numero di più centinaia e preceduti
dalla banda della guardia nazionale e da bandiere colla croce di Savoia e col
leone di San Marco procedevano per le vie de' Tornabuoni, de' Cerretani,
piazza del Duomo, via de' Calzaioli e piazza della Signoria fino alla
residenza dei Pretori nel palazzo degli Uffizi. Il popolo plaudente li
accompagnava lungo la via e dalle finestre sventolavano le bandiere in segno
d'esultanza.»
|
(«La Nazione», 22
ottobre 1866)
|
Seppure non
richiesto (in quanto all'epoca il suffragio era solo maschile), anche le donne
di Venezia, Padova, Dolo, Mirano e Rovigo vollero
esprimere il proprio voto.
Anche a Mantova le
donne, seppure non ammesse al voto, vollero portare il proprio sostegno: circa
2000 voti vennero raccolti in urne separate.
Le donne veneziane
inviarono un messaggio al re:
«Gli uomini
hanno creduto d'esser saggi e giusti, quando decretarono che quella, la quale
qui chiamano più eletta parte dell umanità, fosse esclusa dal concorrere
colla sua azione in tutto ciò che si attiene al governo della pubblica cosa.
Le donne di Venezia non si arrogano il diritto di giudicare tal legge ma
proclamano in faccia al mondo che mai il sesso loro ne sentì l'amarezza e
l'umiliazione più profondamente che in questa circostanza, in cui le
popolazioni sono appellate a dichiarare se vogliono unirsi alla comune patria
sotto il glorioso scettro della Maestà Vostra e de' suoi augusti successori.
Ma se ad esse è vietato il deporre nell'urna quel sì che compirà l'Italia,
non sia però tolto loro di farlo giungere in altro modo a' piedi della Maestà
Vostra. Accogliete dunque, o magnanimo Sire, questo grido che spontaneo,
unanime, ardente, prorompe dal fondo de' nostri cuori: — Sì: noi vogliamo,
come lo vogliono i nostri fratelli, l'unione della Venezia all'Italia sotto
lo scettro di Vittorio Emanuele e de' suoi successori!»
|
(Gazzetta di Mantova, 25 ottobre
1866)
|
Nella stampa
dell'epoca venne sottolineato il carattere patriottico di questa
partecipazione, trascurando gli accenni di protesta (l'amarezza e l'umiliazione) e di rivendicazione del diritto di
voto.
Il 27 ottobre a Venezia, nella Sala dello Scrutinio del Palazzo Ducale, si svolsero le operazioni di spoglio
dei voti. Dopo un breve discorso di Sebastiano Tecchio, presidente del Tribunale di Appello, i
consiglieri del Tribunale annunciarono i risultati delle nove province.
L'annuncio dei
risultati fu dato prima nella Sala dello Scrutinio e fu poi ripetuto dal
balcone di Palazzo Ducale.
A causa del
mancato conteggio dei voti di alcuni comuni del distretto di Rovigo (5.339 voti per
il sì, nessun no e una scheda nulla) e di 149
voti di emigrati (tutti positivi), nella seduta del 31 ottobre 1866 il
Tribunale di Appello si vide costretto a correggere i risultati:
Si ritrovano
pubblicate diverse versioni dei risultati:
·
la lapide posta
in piazza delle Erbe a Padova riporta i dati definitivi del
Tribunale di Appello (647.246 favorevoli e 69 contrari);
·
la lapide posta
nel corridoio
di accesso alla Sala dello Scrutinio, al primo piano nobile
del palazzo
ducale a Venezia sembra riportare i primi dati del Tribunale,
ma con una differenza nel numero di schede nulle (641.758 favorevoli, 69
contrari e 273 nulli, totale 642.100 votanti);
·
la lapide
del monumento a Vittorio Emanuele II posto
presso la riva
degli Schiavoni a Venezia riporta anch'essa i primi dati del
Tribunale;
·
Denis Mack Smith, in Storia d'Italia, riporta 641.000
favorevoli;
·
altri citano una
popolazione di 2.603.009 persone, con 647.426 votanti e 69 voti contrari.
L'adesione unanime
al plebiscito venne così spiegata in un articolo su La
Civiltà Cattolica, pubblicata a Roma, a quel tempo impegnata nella questione romana a
difesa del potere
temporale:
«Fatto sta che
in mezzo a gran tripudio, a suon di campane in certi luoghi, accorsero i
popoli a gettare le loro schede nell'urna. Deporre un no, oltre che inutile era quanto
votare per l'anarchia; tutti deposero il sì.»
|
(La Civiltà Cattolica, 1866)
|
Lo Spirito Folletto l'8 novembre
1866 pubblicò una serie di vignette raffiguranti esempi di votanti per il
plebiscito:
·
Ho votato pel no per prudenza e per paura di vederli a
ritornare
·
Capitano austriaco e decorato dell'aquila nera, poteva votare pel sì?
·
– Gastu dito sì o no? – Cossa gogio da saver mi?... I m'ha dà un
pezetin de carta scrito, e oto soldi; go butà la carta nel buso e i bezi in
scarsela... e servitor, paroni.
·
Fingere di votare sì e votare pel no, ecco il non plus ultra della furberia
pretina.
·
Non voterò mai pei libertini... son troppo buon cattolico.
Il 22 aprile 1859, a causa dell'avanzata dei piemontesi nel
milanese, gli austriaci decisero di trasferire a Vienna la Corona Ferrea, antico e prezioso
simbolo usato fin dal medioevo per
l'incoronazione dei re d'Italia,
che era custodita presso il Tesoro del Duomo di Monza.
La restituzione
della corona all'Italia fu oggetto di specifiche note allegate all'accordo di
pace e venne consegnata ufficialmente il 12 ottobre 1866 dal generale
austriaco Alessandro
di Mensdorff al rappresentante italiano il generale
Menabrea; costui dopo la firma del trattato, tornò da Vienna
portando la corona a Torino, durante il viaggio fermatosi a Venezia, la mostrò al
commissario regio militare Thaon di Revel.
Una lapide posta
in Calle Larga dell'Ascensione indica il 25 ottobre 1866 come data della
presenza a Venezia della corona restituita all'Italia.
Alla mezzanotte
del 2 novembre la delegazione veneta partì da Venezia con un treno speciale
che, dopo una sosta di alcune ore a Milano (dove i rappresentanti veneti furono
accolti a festa dall'amministrazione comunale milanese) giunse alla stazione di
Torino il giorno dopo, sabato 3 novembre, alle 14:00, salutato da colpi di
cannone a festa ed accolta dal consiglio comunale di Torino e condotta
attraverso un sontuoso corteo all'albergo Europa, dal cui balcone il
commendatore Tecchio pronunciò un discorso alla folla sottostante.
Domenica 4
novembre 1866, nella Sala del Trono del Palazzo
Reale di Torino, una delegazione veneta consegnò a re Vittorio Emanuele II i risultati del plebiscito; la
delegazione era così composta:
·
Giambattista
Giustinian, podestà di Venezia;
·
Giuseppe
Giacomelli, sindaco di Udine;
·
Edoardo De Betta, podestà
di Verona;
·
Francesco
De Lazara, podestà di Padova;
·
Gaetano
Costantini, podestà di Vicenza;
·
Antonio Pernetti,
facente funzioni di podestà di Mantova;
·
Antonio
Caccianiga, sindaco di Treviso;
·
Francesco Derossi,
podestà di Rovigo;
·
Francesco Piloni,
facente funzioni di sindaco di Belluno;
Era presente
anche Sebastiano
Tecchio, presidente del Tribunale di Appello di Venezia.
Giambattista
Giustinian pronunciò il discorso ufficiale:
«Sire, il fatto
di recente avvenuto nelle venete Provincie ed in quelle di Mantova, e di cui
oggi siamo onorati di presentarvi lo splendido risultamento, resterà
ricordato dalle più tarde generazioni ... Sì, o sire, questo plebiscito, che
a noi sembrava superfluo, ma volentieri accettammo, siccome quello che ci
offriva l'occasione di affermare una volta di più ciò che tutta Europa
sapeva, riuscì così largo e concorde da maravigliare quasi noi stessi che
l'abbiamo fatto, se nulla poteva riuscire di nuovo di ciò che s'attiene alla
devozione nostra verso di voi e della dinastia vostra ed all'affetto per la
patria italiana. Quei 647.246 sì, raccolti nelle urne delle nostre Provincie
e di tante altre parti ove a caso si trovavano veneti ... offrono all'Europa
tutta una novella testimonianza della concordia italiana ... »
|
a cui rispose il
re con queste parole:
«Signori, il
giorno d'oggi è il più bello della mia vita. Or sono 19 anni il padre mio
bandiva da questa città la guerra dell'Indipendenza nazionale; in oggi,
giorno suo onomastico, voi, signori, mi recate la manifestazione della
volontà popolare delle province venete, che ora, riunite alla gran patria
italiana, dichiarano col fatto essere compiuto il voto dell'augusto mio
genitore. Voi riconfermate con questo atto solenne quello che Venezia faceva
fin del 1848, e seppe ognora mantenere con tanta ammirabile costanza ed
abnegazione. ... Nel giorno d'oggi scompare per sempre dalla Penisola ogni
vestigio di dominazione straniera. L'Italia è fatta, se non compiuta: tocca
ora agli Italiani saperla difendere, e farla prospera e grande. ... La Corona
di ferro venne pure restituita in questo giorno solenne all'Italia, ma a
questa corona antepongo quella a me più cara, fatta coll'amore e coll'affetto
dei popoli. »
|
Al termine dei
discorsi venne presentata e consegnata al re la Corona Ferrea di Teodolinda, restituita
dall'Austria. Nonostante l'alto valore simbolico, Vittorio Emanuele II
"con indifferenza" fece deporre la corona sul trono. La corona
venne resa al Duomo di
Monza il 6 dicembre dello stesso anno.
Il giorno stesso fu emanato il regio decreto n. 3300 di
annessione con il quale «le provincie della Venezia e quelle di Mantova fanno
parte integrante del Regno d'Italia». Il decreto fu convertito in legge il
18 luglio 1867 (approvato dalla Camera il 16 maggio 1867 con 207 voti
favorevoli e quattro contrari; approvato dal Senato il 25 maggio 1867 con 83
voti favorevoli e uno contrario).
Il 7 novembre
1866, con l'ingresso di Vittorio Emanuele II nella città di Venezia, si concludeva
anche la fase politica della terza guerra di indipendenza italiana.
Vittorio Emanuele
II giunse con il treno reale alla stazione di Venezia Santa Lucia verso le ore 11:00,
preceduto da colpi di cannone a salve sparati da Forte Marghera. La città
era addobbata a festa, con coccarde tricolori e manifesti di saluto (tra cui
alcuni, fatti stampare da un certo Simonetti, riportavano l'anagramma "Vittorio Emanuele - O Re, ami tu il Veneto?
Mira! il Veneto è tuo!!"). Il re, accompagnato dai figli Umberto ed
Amedeo, fu accolto dalle autorità cittadine e fu portato alla lancia reale,
condotta da 18 vogatori in costume, che percorse tutto il Canal Grande scortata
da un gran corteo di gondole, salutato da un gran pubblico. Giunto al palazzo
Ducale, il notaio Bisacco consegnò ufficialmente al re il rogito del 1848 con
cui la Repubblica di San Marco aveva già giurato fedeltà ai Savoia. I
festeggiamenti proseguirono ininterrottamente per sei giorni, con spettacoli di
gala al Teatro
La Fenice, fuochi pirotecnici, balli in maschera, illuminazioni a
gas e serenate. L'evento venne seguito e descritto da circa 1.200 giornalisti e
corrispondenti giunti a Venezia da tutto il mondo.
Rimanevano ancora sotto l'impero austriaco quei territori mai
inclusi nell'ormai scomparso regno Lombardo-Veneto, ossia il Trentino, la città di Trieste e le aree della costa
dalmata con
significativa presenza italiana, questo darà nuovo vigore agli spiriti irredentisti e fornirà il principale motivo ai
sostenitori dall'entrata in guerra dell'Italia contro l'Austria nel corso della prima guerra mondiale (nota anche come quarta guerra
d'indipendenza italiana).
Con decreto del 20
febbraio 1868 Vittorio Emanuele
II istituì l'Ordine della Corona d'Italia con specifico riferimento
all'annessione del Veneto:
«Essendosi non
ha guari consolidata, mercè l'annessione della Venezia, l'indipendenza e
l'unità d'Italia, abbiamo determinato di consacrare la memoria di questo gran
fatto, mercè l'istituzione di un nuovo ordine cavalleresco, destinato a
remunerare le benemerenze più segnalate tanto degli Italiani, quanto degli
stranieri, e specialmente quelle che riguardano direttamente gl'interessi
della nazione.»
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(Regio decreto 20
febbraio 1868, n. 4251)
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Le decorazioni per
tutti i gradi dell'ordine contenevano un'immagine della Corona Ferrea; la
decorazione per il grado più alto (Cavaliere
di Gran Croce o Gran
Cordone) riportava l'iscrizione VICT. EMMAN. II REX ITALIAE - MDCCCLXVI (Vittorio Emanuele II re d'Italia - 1866).
Nel 1859, dopo
la Seconda guerra d'indipendenza, la provincia di
Mantova, in quanto parte dell'Impero austriaco, era stata privata dei distretti
a ovest del fiume Mincio,
passati all'allora Regno di Sardegna e suddivisi tra le province di Brescia e
di Cremona.
Con l'annessione
della provincia di Mantova al Regno d'Italia, venne richiesto di ripristinare i
confini storici; la riunificazione avvenne nel febbraio 1868.
A partire dalla
metà degli anni 1990, alcuni
storici, per lo più riconducibili al movimento venetista hanno
iniziato a contestare la validità di quel plebiscito imputando ai Savoia una forte
pressione politica, una serie di presunti brogli e un non corretto svolgimento
delle votazioni, aggiungendo che la società veneta ottocentesca era
prevalentemente rurale con un tasso di analfabetismo ancora
elevato e larghi strati della popolazione erano pronti ad accettare le
indicazioni dei «ceti superiori».
Altri storici e
costituzionalisti respingono tale ricostruzione antirisorgimentale, ricordando
da un lato che il plebiscito fu solo la convalida dell'attività diplomatica
successiva al Trattato
di Praga, dall'altro lato facendo notare il grande clima di festa
che accompagnò la votazione e che si protrasse fino al trionfale ingresso
di Vittorio Emanuele II di Savoia a Venezia il 7 novembre
1866, pertanto escludendo del tutto che l'annessione non fosse voluta dalla
popolazione del Veneto e di Mantova.
Nella notte tra
l'8 e il 9 maggio 1997, un gruppo di persone autodefinitesi "Veneta
Serenissima Armata" (meglio conosciuti come i Serenissimi) occupò
militarmente il campanile
di San Marco a Venezia: tali attivisti, successivamente
arrestati e condannati, sostenevano di aver fatto delle ricerche storiche e
scoperto elementi che, a loro parere, avrebbero invalidato, fra l'altro, anche
il plebiscito di ratifica dell'annessione al Regno d'Italia del 1866, caratterizzato, sempre a loro dire,
da presunti brogli e violazioni degli accordi internazionali sottoscritti
durante l'armistizio
di Cormons e il trattato
di Vienna.
Nel 2012 il
Consiglio regionale del Veneto approvò una risoluzione nella quale veniva
affermato che «l'adesione del Veneto al Regno italiano con il referendum del 21
e 22 ottobre 1866 è maturata con uno strumento di consultazione diretta,
caratterizzato, per la verità, da una serie di azioni truffaldine messe in atto
dal Regno d'Italia».
Nel settembre 2016
la Regione del Veneto ha inviato a novanta biblioteche venete una copia del
libro "1866 la grande truffa: il plebiscito di annessione del Veneto
all'Italia" di Ettore Beggiato, che sostiene la tesi della truffa, rinvigorendo
il dibattito tra gli storici.
Il 24 aprile 2017
il presidente della Regione Luca Zaia ha indetto
un referendum consultivo per sottoporre ai
cittadini residenti il quesito «Vuoi che alla regione Veneto siano attribuite
ulteriori forme e condizioni di autonomia?», per poi chiedere competenze
di governo simili alle regioni a statuto speciale confinanti. La
data della votazione, scelta congiuntamente alla Lombardia dove si
svolgerà una consultazione analoga, è stata fissata simbolicamente per il 22
ottobre 2017, proprio nel giorno del 151º anniversario del voto del 21-22
ottobre 1866, anche per "dare una risposta" allo storico plebiscito.
Nel dicembre 2010 Roberto Calderoli,
allora ministro per la Semplificazione normativa del Governo
Berlusconi IV, annunciò l'approvazione del cosiddetto "decreto
ammazza-norme" con cui si volevano eliminare dall'ordinamento
italiano migliaia di leggi considerate inutili od obsolete: tra le norme
abrogate vi era però anche il regio decreto 4 novembre del 1866, n. 3300, oltre
alla relativa legge di conversione 18 luglio 1867, n. 3841, che avevano
decretato l'annessione del Veneto al Regno d'Italia.
Pur trattandosi di
un mero errore formale, in quanto la Costituzione Italiana comunque garantisce
da un lato l'indivisibilità dell'Italia e dall'altro lato include il Veneto tra
le regioni italiane, fu ritenuto necessario riapprovare un apposito decreto per
rimediare all'errore.