terça-feira, 29 de janeiro de 2019

Rio Pinheiros, São Paulo, Brasil - Alfred Usteri





Rio Pinheiros, São Paulo, Brasil - Alfred Usteri
São Paulo - SP
Faz parte do livro "Flora der Umgebung der Stadt São Paulo" , Autor Alfred Usteri, Publicado em 1911 na Alemanha.
Fotografia

O Retorno do Campo de Batalha (Il Ritorno dal Campo) - Gerolamo Induno

O Retorno do Campo de Batalha (Il Ritorno dal Campo) - Gerolamo Induno
Coleção privada
OST - 96x78 - 1869


Girolamo Induno fu fervente patriota. Partecipò ai moti del '48 a Roma, alla guerra di Crimea (1854-55) e, devoto garibaldino, seguì il suo generale in molte battaglie, riportandone schizzi e appunti che utilizzò per elaborare tele di soggetto militare. Nel 1859 fu promosso ufficiale e dopo il 1860 fece ritorno a Milano, dove rimase a lavorare nel suo studio. Divenne il pittore ufficiale dei soggetti patriottici, da quelli istituzionali - tra i quali ricordiamo La battaglia di Magenta (1861) e L'imbarco a Genova del generale Giuseppe Garibaldi (1860), entrambi al Museo del Risorgimento a Milano - a quelli più intimi, a lui più congeniali, ai quali appartiene il nostro Ritorno dal campo

Secondo lo spirito del Realismo abbracciato da Induno la guerra non è fatta solo dalle gesta di celebri condottieri, ma soprattutto dai semplici atti quotidiani di anonimi soldati e dei familiari che attendono il loro ritorno. In La lettera dal Campo del 1859 e Il ritorno del marinaio del 1866-70, Induno racconta le storie di chi - troppo giovane o troppo anziano per partire – è rimasto a casa e legge con trepidazione le notizie provenienti dai campi di battaglia e chi, anche se ferito, è riuscito fare ritorno. In queste due opere il pittore indugia sugli aspetti più intimi della scena: il focolare domestico, povero, ma caldo e accogliente dove il soldato ritroverà i propri famigliari o il mantello ricamato della donna che prende sottobraccio il marinaio. 

In Il ritorno dal Campo il pittore propone gli stessi temi: la giovane moglie indossa i suoi abiti più belli e ha portato con sé la figlioletta affinché possa subito riabbracciare suo padre; la giornata serena - che permette di scorgere le guglie del duomo di Milano sullo sfondo - crea un'atmosfera di gioia e serenità. La scena è osservata con profonda partecipazione, i piccoli gesti acquistano la capacità di commuovere, conferendo valore poetico e morale alla raffigurazione. 

Il soggetto deve aver avuto una discreta fortuna dal momento che fu replicato dall'Induno in più occasioni. Una versione datata 1867 è pubblicata dal Nicodemi (G. Nicodemi, Domenico e Gerolamo Induno, Milano 1945, n.157) e un'altra di formato molto più ridotto (cm 29 x 17) è stata venduta da Sothebys' a Milano nel 2004 (22.800€). Come attestato dal cartellino vergato dall'Induno e applicato sul telaio (fig.2), l'opera qui proposta fu commissionata al pittore dal signor Giuseppe Bossi nel 1869.

Fonte : http://www.sothebys.com/en/auctions/ecatalogue/2011/old-master-paintings-19th-century-paint-mi0314/lot.98.html

O Retorno do Soldado (II Ritorno del Soldato) - Gerolamo Induno

O Retorno do Soldado (II Ritorno del Soldato) - Gerolamo Induno
Coleção privada
OST - 74x94

O Embarque dos Mil em Quarto, Itália (L'Imbarco dei Mille da Quarto) - Gerolamo Induno


O Embarque dos Mil em Quarto, Itália (L'Imbarco dei Mille da Quarto) - Gerolamo Induno
Quarto - Itália
Museu do Risorgimento Milão
OST - 1860


Perché il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano comincia le celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia oggi da Quarto?
Perché esattamente da lì, il 5 maggio del 1860, partì l’esercito di volontari comandato da Giuseppe Garibaldi che sbarcò a Marsala, in Sicilia, l’11 maggio. Prese così il via la «Spedizione dei mille», cioè la chiave di volta del Risorgimento che si concluse con l’incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II di Savoia a Teano meno di sei mesi dopo, il 26 ottobre 1860. Pur mancando ancora buona parte del Paese (il Triveneto e le terre dello Stato Pontificio), il Nord e il Sud dell’Italia erano nuovamente unite dopo secoli.

Dove si trova Quarto e come avvenne la scelta di partire da lì?
Quarto è oggi un quartiere del Levante di Genova, ma all’epoca non faceva parte della città (è rimasto Comune indipendente fino al 1926). Si scelse di partire da lì perchè la zona era sufficientemente appartata e c’era abbastanza spazio per ormeggiare i due piroscafi («Piemonte» e «Lombardo») su cui dovevano imbarcarsi i volontari. Non era infatti possibile partire dal porto di Genova, perchè quella dei Mille non era una spedizione militare ufficiale e quindi non si potevano «armare» due navi sotto gli occhi delle autorità.

Fu dunque un’operazione «clandestina»?
No. Il Regno di Sardegna sapeva benissimo che Garibaldi stava preparando l’impresa per la Sicilia. Non poteva darne ufficialmente l’avvallo perchè così avrebbe dovuto dichiarare guerra al Regno delle due Sicilie e in quel momento - militarmente e politicamente - non era possibile. Si può però dire che la spedizione dei Mille ebbe da Cavour il tacito consenso.

Perché fu scelto quel momento perla spedizione?
Perchè in Sicilia c’era molto fermento: dall’inizio di aprile si susseguivano manifestazioni e moti insurrezionali e Garibaldi, sollecitato dai patrioti siciliani (in particolare Rosolino Pilo e Francesco Crispi), ritenne fosse possibile tentare una prova di forza contro i Borboni.

Esattamente quanti volontari partirono con lui?
All’inizio erano 1162, ma non tutti arrivarono a destinazione. Quando a Talamone (tappa necessaria per imbarcare altre armi e munizioni) Garibaldi dichiarò che si andava a combattere «per l’Italia e Vittorio Emanuele», una settantina di mazziniani e repubblicani preferirono sbarcare (tentando poi un’operazione militare - fallita - nelle terre pontificie). In Sicilia arrivano «solo» in 1089.

Chi erano? Da dove venivano?
I Mille socialmente rappresentavano la parte più moderna della società, quella più proiettata verso il futuro Novecento: intellettuali, professionisti, insegnanti, operai, artigiani. Quasi assenti i contadini, che pure erano allora la parte preponderante della popolazione italiana. Venivano prevalentemente dalla Lombardia (435 e fra loro ben 180 erano bergamaschi); dal Veneto (151) e dalla Liguria (160 in stragrande maggioranza genovesi. C’erano poi 20 friulani, un’ottantina di toscani (molti i livornesi). Quaranta emiliani e 30 delle altre regioni centrali. Dal Sud ne venivano meno di un centinaio e di questi 45 erano siciliani. Pochi piemontesi (30) perché quasi tutti i patrioti erano inquadrati nell’esercito regolare. 

Garibaldi come li aveva messi insieme?
Molti avevano combattuto con lui durante la Seconda guerra di indipendenza. C’erano patrioti che tornavano dall’esilio; c’era chi era stato in prima fila nei moti del 1848, come Agostino Bertani, protagonista delle Cinque giornate di Milano; e giovani poco più che ventenni. Una sola donna, Rosalia Montmasson, moglie di Francesco Crispi. E un bambino, Giuseppe Marchetti, 11 anni, che il padre aveva deciso di portare con sé.

C’erano anche personaggi diventati noti?
Sì. Due scrittori: Giuseppe Cesare Abba, che proprio sulla spedizione scrisse «Da Quarto al Volturno», e Ippolito Nievo («Confessioni di un ottuagenario»). Crispi, che divenne nel 1887 primo ministro (di destra), Nino Bixio; il figlio di Garibaldi, Menotti, e suo genero Stefano Canzio.

Chi fornì le navi? Chi finanziò l’impresa?
I due piroscafi, particolarmente moderni e veloci per l’epoca, venivano dalla flotta dell’armatore genovese Raffaele Rubattino, che stipulò segretamente un contratto con il garibaldino Giacomo Medici. Armi e soldi Garibaldi aveva poi cominciato a raccoglierli dalla fine del 1859 con la «Sottoscrizione nazionale “per un milione di fucili”», a cui avevano aderito migliaia di persone convinte dall’idea di un’Italia unita, e più libera e moderna.

Piazza Contarena, Údine, Itália


Piazza Contarena, Údine, Itália
Údine - Itália
Fotografia - Cartão Postal

Piazza Contarena, Údine, Itália


Piazza Contarena, Údine, Itália
Údine - Itália
Fotografia - Cartão Postal

Vista da Piazza Contarena em Údine, Itália (Veduta della Piazza Contarena di Udine) - Fausto Antonioli

Vista da Piazza Contarena em Údine, Itália (Veduta della Piazza Contarena di Udine) - Fausto Antonioli
Údine - Itália
Gallerie d'Italia Piazza Scala Milão
OST - 57x46 - 1856


Il dipinto, racchiuso nella sua cornice originale dorata con inserti in velluto, è stato acquisito nel 1991, insieme con la Collezione dell’Istituto Bancario Italiano (IBI).
L’anno precedente all’esecuzione dell’opera, datata 1856, Fausto Antonioli, paesaggista e ritrattista attivo a Udine fin dal 1850, aveva ottenuto il giudizio positivo della critica locale presentando all’esposizione friulana di Arti Belle e Meccaniche uno scorcio della piazza Contarena (ubicazione sconosciuta), eseguito su commissione di Francesco Verzegnassi, commerciante udinese di seta, sodale di Ippolito Nievo e sostenitore della preparazione clandestina alla lotta contro l'Austria.
Una stretta corrispondenza stilistica, oltre che tematica, lega il dipinto in Collezione a quest’opera, descritta dalla pubblicistica dell’epoca come una veduta di piccole dimensioni, contraddistinta da un solido impianto prospettico e dall’impiego di un deciso contrasto chiaroscurale. Il quadro, infatti, restituisce una visione nitida e dettagliata della principale piazza cittadina, popolata da macchiette in abiti contemporanei. Il luogo ha cambiato denominazione più volte nei secoli: nel medioevo era nota come la piazza del Vino, in seguito del Comune e, poi, con l’arrivo dei Veneziani nel XVI secolo assunse il nome di uno dei luogotenenti dell’esercito divenendo piazza Contarena. Dopo l’Unificazione, nel 1866, la piazza fu intitolata a Vittorio Emanuele II; mantenne questo nome fino alla Liberazione, quando assunse l’attuale denominazione di piazza della Libertà. In questa veduta Antonioli adotta un punto di vista che privilegia la quattrocentesca Loggia del Lionello, in primissimo piano a destra, la Loggia di San Giovanni, la Torre dell’orologio e la colonna con la Statua della Giustizia; mentre a sinistra, in disparte, è ritratta la Statua della Pace, opera dello scultore Giovan Battista Comolli, donata dall’imperatore Francesco I alla città di Udine a ricordo della Pace di Campoformido. La restituzione puntuale dell’architettura del luogo si arricchisce di numerosi indizi della vita cittadina e del clima politico dell’epoca: sull’edificio di destra un’affissione – in italiano e in tedesco - indica la presenza dell’Imperial Regio Comando Militare di Piazza austriaco mentre, sul lato opposto, una locandina teatrale annuncia la rappresentazione al teatro Minerva de “L’Utimo Giorno di Suli”, opera lirica ispirata alla guerra greco-turca, già messa in scena in altre città italiane e rappresentata a Torino nel 1863.
Il racconto della resistenza di Suli, ultima città greca a capitolare contro l’invasione turca, nascondeva un richiamo ai valori patriottici e trovava a Udine, in particolare, una stretta corrispondenza con l’insurrezione antiasburgica della primavera del 1848, quando la città guidata da un governo provvisorio aveva respinto l’esercito austriaco. La piazza diviene così un luogo simbolo della città durante il Risorgimento, non a caso nuovamente ritratta da Antonioli in un altro dipinto dell’autunno del 1866 che, forse, rappresenta la prima veduta di Udine italiana, dopo l’ingresso delle truppe garibaldine, il 26 luglio 1866, allorché la città venne a far parte dello Stato italiano, a conclusione della terza guerra d’indipendenza (Veduta della Piazza Contarena di Udine, Udine, Civici Musei e Gallerie di Storia e Arte).
La precisione lenticolare nella descrizione delle architetture e il taglio dell’inquadratura adottati nelle diverse redazioni del tema sembrerebbero riconducibili all’impiego di modelli fotografici, forse noti all’artista per il tramite del conte Augusto Gabriele Agricola, tra i primi sperimentatori della tecnica fotografica in Friuli. Il legame di amicizia tra questi due protagonisti della vita culturale cittadina è attestato anche dal ritratto fotografico del pittore e dal Ritratto del Conte Agricola (Udine, Civici Musei), eseguito ad olio da Antonioli nel 1857, in seguito alla scomparsa dell’amico.

A Chegada de Vittorio Emanuele II na Piazza della Signoria em Florença, Itália (L’Arrivo di Vittorio Emanuele II in Piazza della Signoria di Firenze) - Enrico Fanfani


A Chegada de Vittorio Emanuele II na Piazza della Signoria em Florença, Itália (L’Arrivo di Vittorio Emanuele II in Piazza della Signoria di Firenze) - Enrico Fanfani
Florença - Itália
Coleção privada
OST - 1861

Vittorio Emanuele II a Cavalo (Vittorio Emanuele II a Cavallo) - Gerolamo Induno


Vittorio Emanuele II a Cavalo (Vittorio Emanuele II a Cavallo) - Gerolamo Induno
Museu do Risorgimento Milão
OST - 353x273 - 1861

O Massacre da Família Tavani Arquati, Roma, Itália (L’Eccidio della Famiglia Tavani Arquati) - Carlo Ademollo

O Massacre da Família Tavani Arquati, Roma, Itália (L’Eccidio della Famiglia Tavani Arquati) - Carlo Ademollo
Roma - Itália
Museu do Risorgimento Milão
OST - 253x413 - 1880


Nel 1880 Carlo Ademollo dipinse la drammatica vicenda avvenuta all’interno del lanificio di proprietà di Ajani: nel 25 ottobre del 1867 il direttore della fabbrica era Francesco Arquati, marito di Giuditta Tavani, entrambi di famiglia agiata, imprenditori borghesi di Roma. 

Quest’ultima, figlia di un combattente della Repubblica romana, era cresciuta nel culto eroico della libertà ed è in questo contesto che Giuditta aderisce al movimento insurrezionale. 

Nel lanificio, un gruppo di rivoluzionari lavora  a preparare  cartucce, per errore un’arma esplode mentre passano una pattuglia di gendarmi e due zuavi: la forza pubblica interviene colpendo e uccidendo i componenti, presenti, della famiglia Arquati.

La vicenda ebbe enorme importanza e Ademollo la trasferì in questo dipinto.

L’impianto del quadro, dalle grandi dimensioni, armonizzato in equilibrati accordi cromatici, è severo. La figura del carabiniere, ritratto di spalle, divide in due parti il dipinto.

L’episodio dell’eccidio è rappresentato, con dovizia di particolari nella descrizione delle divise, delle armi, nelle espressioni dei volti dei caduti, e sui visi dei gendarmi e degli zuavi si coglie lo sconcerto e l’incredulità alla vista della scena.

Nella quadratura di destra emergono la figura del curato e del ferito bendato sull’occhio sinistro, tre carabinieri con fucili in pugno, tutti avvolti da tinte più brillanti rispetto al resto dell’opera.

I tre corpi della famiglia Tavani Arquati, fulcro centrale dell’opera, sono riversi senza vita sul pavimento fra i gendarmi e la madre gravida che cinge il figlio acuisce la drammaticità della scena.

Il senso realistico della vicenda rappresentata è dato anche dalla descrizione del fumo della battaglia appena terminata e dalla prospettiva dell’interno della fabbrica.      
In questa immagine si evince che il Risorgimento è stato una vera guerra con martiri ed eroi.

Durante il conflitto della seconda guerra mondiale la tela subisce un arrotolamento su cilindro di legno realizzato con delle aste a spigolo vivo che segneranno in modo indelebile il supporto cellulosico, che, avendo una sua memoria anche dopo la foderatura dell’intervento di restauro presumibilmente risalente agli anni sessanta, si è riproposta prepotentemente.
Questo modo di salvaguardare le opere dai bombardamenti riguarda diversi dipinti di grande formato che ora sono collocati all’interno del museo del Risorgimento.

Le opere che hanno vissuto la stessa esperienza hanno riportato traumi sul supporto cellulosico e sugli strati soprammessi che costituiscono il dipinto ma confutando la capacità pittorica dei pittori “risorgimentali” di rendere i materiali costitutivi molto elastici, perché oggi con un intervento di restauro adeguato possono ritrovare la planarità originale.

Giuditta Tavani Arquati (Roma30 aprile 1830 – Roma25 ottobre 1867) è stata una patriota italiana.
Figlia di Adelaide Mambor e Giustino Tavani, un difensore della Repubblica Romana trasferitosi in esilio a Venezia dopo aver scontato una lunga pena nelle carceri pontificie, Giuditta crebbe in un ambiente che le fece acquisire saldi principi laici e repubblicani.
Giuditta Tavani Arquati nacque il 30 aprile 1830 a Roma sull'isola Tiberina e fu battezzata lo stesso giorno presso la chiesa di San Bartolomeo all'Isola. Si sposò a quattordici anni, il 22 luglio 1844, nella parrocchia romana di San Crisogono, con Francesco Arquati, conosciuto nel magazzino di stoffe di suo padre.
I due sposi combattono insieme per la difesa della Repubblica Romana, che cadde in mani francesi nel 1849. Seguirono allora i fuorusciti verso l'Adriatico, con Garibaldi, e si rifugiarono a Venezia. Successivamente, ancora ricercati passarono nelle Romagne, dove continuarono a cospirare, trasferendosi poi a Subiaco. Nel 1865 rientrarono in Roma nascostamente per organizzarne la liberazione. Qui frequentarono la casa ed il lanificio di Giulio Ajani (1835-1890), altro patriota, alla Lungaretta in Trastevere.
La mattina del 25 ottobre 1867, giorno in cui Garibaldi prendeva Monterotondo nel corso della terza spedizione per liberare Roma, una quarantina di patrioti, di cui 25 romani, si riunirono in via della Lungaretta 97, nel rione romano di Trastevere, nella sede del lanificio di Giulio Ajani, per decidere sul da farsi. Il gruppo preparò una sommossa per far insorgere Roma contro il governo di Pio IX. Deteneva delle cartucce e un arsenale di fucili, si auspicava un intervento diretto di Giuseppe Garibaldi a Roma. Lo Scontro di Villa Glori del 23 ottobre 1867, poteva far pensare che fosse l'inizio di una rivolta.

Alla riunione partecipò anche la Arquati, con il marito e uno dei tre figli della coppia, Antonio. Verso le 12 e mezzo, una pattuglia di zuavigiunta da via del Moro attaccò la sede del lanificio. I congiurati cercarono di resistere al fuoco. In poco tempo, però, le truppe pontificie ebbero la meglio e riuscirono a farsi strada all'interno dell'edificio. Alcuni congiurati riuscirono a fuggire, mentre altri furono catturati. Sotto il fuoco rimasero uccise 9 persone, tra cui Giuditta Tavani Arquati, incinta del quarto figlio, il marito e il loro giovane figlio.