domingo, 26 de setembro de 2021

Palazzo Reggia di Caserta, Caserta, Itália

 




Palazzo Reggia di Caserta, Caserta, Itália
Caserta - Itália
Fotografia

Texto 1:
O Palazzo Reggia di Caserta se encontra na região da Campania a 31km de Nápoles e foi projetado pelo arquiteto Luigi Vanvitelli.
Tem 1.200 quartos, com 1.742 janelas (das quais 245 abrem para a fachada) em planta retangular, ocupa uma área de 44.000 metros quadrados e eleva-se por 42 metros ao longo de uma frente de 250 metros, 34 escadas e 1026 chaminés.
No projeto o Palácio tinha que incluir, além das residências reais, as bandas da tropa, os escritórios administrativos, a capela, o teatro: dos 1.200 quartos, apenas 134, na verdade, eram destinados à família real.
O jardim ocupa uma área de 120 hectares, com 3,3 km de extensão e a água é fornecida pelo aqueduto Carolino, que alimenta as piscinas, as fontes e o palácio. As obras começaram em 1753, ao mesmo tempo que a construção do aqueduto.
O enorme jardim, como é visto hoje, é apenas uma versão reduzida do que foi idealizado por Luigi, que morreu em 1773 e, devido a isso, as obras foram retomadas somente em 1777 por seu filho Carlo, agora gerente de construção, que mostrou ao novo rei Ferdinand IV um novo projeto, com uma versão reduzida do projeto do seu pai.
De fato, as dificuldades econômicas e a necessidade de concluir as obras mais rapidamente, obrigaram a reduzir o número de fontes na segunda parte do parque. No entanto, a ideia original de Luigi manteve-se inalterada no aspecto geral e o mais importante do seu projeto foi mantido: um espetacular canal de 3,3 km de comprimento, cheio de fontes e piscinas que termina na incrível cachoeira.
Texto 2:
Le origini della reggia:
Il Palazzo reale di Caserta fu voluto dal Re di Napoli Carlo di Borbone, il quale, preso da una "competizione" con i reali francesi e desideroso di donare a Napoli strutture tali da poter svolgere un ruolo di città-capitale di livello europeo, decise di inaugurare una reggia che potesse rivaleggiare in magnificenza e imponenza con quella di Versailles. Per motivi di sicurezza, la località prescelta fu Casertavecchia a circa 15 km a nord dalla capitale (vedi spedizione navale britannica contro Napoli del 1742).
Dopo il rifiuto di Nicola Salvi, afflitto da gravi problemi di salute, il sovrano si rivolse all'architetto Luigi Vanvitelli, a quel tempo impegnato nei lavori di restauro della basilica di Loreto per conto dello Stato Pontificio. Carlo di Borbone ottenne dal Papa di poter incaricare l'artista e nel frattempo acquistò l'area necessaria, dove sorgeva il palazzo cinquecentesco degli Acquaviva, dal loro erede duca Michelangelo Caetani, pagandola 489.343 ducati, una somma che seppur enorme fu certamente oggetto di un forte sconto: Caetani, infatti, aveva già subìto la confisca di una parte del patrimonio per i suoi trascorsi antiborbonici.
Il re chiese che il progetto comprendesse, oltre al palazzo, il parco e la sistemazione dell'area urbana circostante, con l'approvvigionamento da un nuovo acquedotto (Acquedotto Carolino) che attraversasse l'annesso complesso di San Leucio. La nuova reggia doveva essere simbolo del nuovo stato borbonico e manifestare potenza e grandiosità, ma anche essere efficiente e razionale.
Il progetto si inseriva nel più ampio piano politico di re Carlo di Borbone, che probabilmente voleva anche spostare alcune strutture amministrative dello Stato nella nuova Reggia, collegandola alla capitale Napoli con un vialone monumentale di oltre 15 km. Questo piano fu però realizzato solo in parte; anche lo stesso palazzo reale non fu completato della cupola e delle torri angolari previste inizialmente.
Vanvitelli giunse a Caserta nel 1751 e diede inizio subito alla progettazione del palazzo, commissionatogli con l'obbligo di farne uno dei più belli d'Europa. Il 22 novembre di quell'anno l'architetto sottopose al re di Napoli il progetto definitivo per l'approvazione. Due mesi dopo, il 20 gennaio 1752, genetliaco del re, nel corso di una solenne cerimonia alla presenza della famiglia reale con squadroni di cavalleggeri e di dragoni che segnavano il perimetro dell'edificio, fu posta la prima pietra. Tale momento viene ricordato dall'affresco di Gennaro Maldarelli che campeggia nella volta della Sala del Trono.
L'opera faraonica che il re di Napoli gli aveva richiesto spinse Vanvitelli a circondarsi di validi collaboratori: Marcello Fronton lo affiancò nei lavori del palazzo, Francesco Collecini in quelli del parco e dell'acquedotto, mentre Martin Biancour, di Parigi, venne nominato capo-giardiniere. L'anno dopo, quando i lavori della reggia erano già a buon punto, venne cominciata la costruzione del parco. I lavori durarono complessivamente diversi anni e alcuni dettagli rimasero incompiuti. Nel 1759, infatti, Carlo di Borbone di Napoli era salito al trono di Spagna (con il nome di Carlo III) e aveva lasciato Napoli per Madrid.
I sovrani che gli succedettero, Gioacchino Murat, che all'abbellimento della reggia diede un certo contributo, Ferdinando IV (divenuto poi dopo il congresso di Vienna Ferdinando I delle Due Sicilie), Francesco I, Ferdinando II e Francesco II, col quale ebbe termine in Italia la dinastia dei Borbone, non condivisero lo stesso entusiasmo di Carlo di Borbone per la realizzazione della Reggia. Inoltre, mentre ancora nel XVIII secolo non era difficile reperire manodopera economica grazie ai cosiddetti barbareschi catturati dalle navi napoletane nelle operazioni di repressione della pirateria praticata dalle popolazioni rivierasche del Nordafrica, tale fonte di manodopera si azzerò nel secolo successivo con il controllo francese dell'Algeria.
Infine, il 1º marzo 1773 morì Vanvitelli al quale successe il figlio Carlo: questi, anch'egli valido architetto, era però meno estroso e caparbio del padre, al punto che trovò notevoli difficoltà a compiere l'opera secondo il progetto paterno.
Nel 1787 giunse alla Reggia lo scrittore Goethe mentre eseguiva il suo Grand Tour, il quale meravigliato dai giardini così descrisse quella visita:
«La posizione è di eccezionale bellezza, nella più lussureggiante piana del mondo, ma con estesi giardini che si prolungano fin sulle colline; un acquedotto v'induce un intero fiume, che abbevera il palazzo e le sue adiacenze, e questa massa acquea si può trasformare, riversandola su rocce artificiali, in una meravigliosa cascata. I giardini sono belli e armonizzano assai con questa contrada che è un solo giardino.» (Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia)
Residenza reale:
Re Ferdinando IV di Napoli elesse la reggia di Caserta a propria residenza di caccia, convincendosi a lasciare il Palazzo Reale di Portici dopo l'eruzione del Vesuvio del 1767. Sua moglie, Maria Carolina, si prese a cuore la decorazione del nuovo palazzo dimostrando un gusto particolare, riunendo a Caserta un'importante pinacoteca ed una notevole collezione di porcellane.
La proclamazione della Repubblica Partenopea nel 1799 espropriò il palazzo e le altre proprietà della corona alla famiglia reale che in quel medesimo anno chiese aiuto agli altri regnanti d'Europa per salvarsi dalle ondate rivoluzionarie nel Regno di Napoli. L'edificio non subì grandi danni, ma venne depredato di gran parte del prezioso mobilio interno, di cui alcuni pezzi vennero recuperati in seguito con la Restaurazione. Fu la stessa regina ad occuparsi di questo aspetto della struttura, facendole riprendere l'aspetto che sostanzialmente mantiene ancora oggi.
Nel 1806, Napoleone conquistò il Regno di Napoli e ne concesse la corona a suo fratello Giuseppe. La famiglia reale borbonica dovette cercare rifugio in Sicilia abbandonando tutte le proprietà alla penisola, che passarono di mano al nuovo re. Con la conquista della Spagna nel 1808, Giuseppe venne inviato come sovrano del nuovo stato conquistato e Gioacchino Murat prese il suo posto come re di Napoli. Murat ebbe sempre una particolare predilezione per il palazzo di Caserta dove fece realizzare un intero appartamento di stile impero.
Dopo il Congresso di Vienna del 1815, venne restaurata la monarchia borbonica nel nuovo Regno delle Due Sicilie. Successivamente, il palazzo servì come residenza di caccia dei re borbonici, ma entrò in uno stato di decadenza. Nel 1860 l'intero regno venne incorporato nel neonato Regno d'Italia ed il palazzo venne utilizzato occasionalmente per alcuni membri di casa Savoia come per Emanuele Filiberto-duca d'Aosta, sino a quando Vittorio Emanuele III non lo cedette allo stato italiano nel 1919.
Il palazzo:
La reggia, definita l'ultima grande realizzazione del Barocco italiano, fu terminata nel 1845 (sebbene fosse già abitata nel 1780), risultando un grandioso complesso di 1 200 stanze e 1 742 finestre, per una spesa complessiva di 8 711 000 ducati. Nel lato meridionale, il palazzo è lungo 249 metri, alto 37,83, decorato con dodici colonne. La facciata principale presenta un avancorpo centrale sormontato da un frontone; ai lati del prospetto, dove il corpo di fabbrica longitudinale si interseca con quello trasversale, si innestano altri due avancorpi. Secondo il progetto vanvitelliano quattro statue colossali, mai realizzate, avrebbero dovuto ornare l'ingresso principale, rappresentanti quattro Principesche Virtù, disposte in quest'ordineː Magnificenza, Giustizia, Clemenza, Pace. La facciata sul giardino è uguale alla precedente, ma presenta finestre inquadrate da lesene scanalate.
Il palazzo ricopre un'area di circa 47.000 m²; dispone di 1 026 fumaroli e 34 scale. Oltre alla costruzione perimetrale rettangolare, il palazzo ha, all'interno del rettangolo, due corpi di fabbricato che s'intersecano a croce e formano quattro vasti cortili interni di oltre 3.800 m² ciascuno.
Oltre la soglia dell'entrata principale alla reggia si apre un vasto vestibolo ottagonale del diametro di 15,22 metri, adorno di venti colonne doriche. A destra e a sinistra si inseriscono i passaggi che portano ai cortili interni, mentre frontalmente un triplice porticato immette al centro topografico della reggia.
In fondo, un terzo vestibolo dà adito al parco. Su un lato del vestibolo ottagonale si apre il magnifico scalone reale a doppia rampa, un autentico capolavoro di architettura tardo barocca, largo 18,50 metri alto 14,50 metri e dotato di 117 gradini, immortalato in numerose pellicole cinematografiche. Ai margini del primo pianerottolo della scalinata si trovano due leoni in marmo di Pietro Solari e Paolo Persico, mentre il soffitto, caratterizzato da una doppia volta ellittica, fu affrescato da Girolamo Starace-Franchis con Le quattro Stagioni e La reggia di Apollo; sulla parete centrale è addossata una statua di Carlo di Borbone, opera di Tommaso Solari, affiancata da La verità e Il merito, realizzate rispettivamente da Andrea Violani e Gaetano Salomone. Di fronte alla scalinata fu collocato nel 1807 l’Ercole latino, celebre statua classica detta anche Ercole Farnese in riposo rinvenuta nell’agosto 1545 nelle Terme di Caracalla insieme al più famoso Ercole Farnese, oggi conservato al Museo Archeologico di Napoli. La statua, restaurata dallo scultore Angelo Brunelli, è posta sul piedistallo con il motto Gloria virtutem post fortia facta coronat, in luogo di una fontana con Ercole incoronato dalla Gloria prevista dal Vanvitelli e mai realizzata.
La doppia rampa si conclude in un vestibolo posto al centro dell'intera costruzione. Di fronte si trova l'accesso alla grande Cappella Palatina, ispirata a quella della Reggia di Versailles; questo spazio, definito da un'elegante teoria di colonne binate che sostengono una volta a botte, è stato danneggiato durante la seconda guerra mondiale, quando andarono perduti gli organi e tutti gli arredi sacri, e quindi restaurato.
Sul retro della cappella, ancora inglobato all'interno del palazzo, è posto il Teatro di Corte, caratterizzato da una pianta a ferro di cavallo, con una capienza di 450 posti: fu inaugurato nel 1769 alla presenza di Ferdinando I delle Due Sicilie.
Invece, alla sinistra del vestibolo si accede agli appartamenti veri e propri. La prima sala è quella degli Alabardieri, con dipinti di Domenico Mondo (1785), alla quale segue quella delle guardie del corpo, arredata in stile Impero e impreziosita da dodici bassorilievi di Gaetano Salomone, Paolo Persico e Tommaso Bucciano. La successiva sala, intitolata ad Alessandro il Grande e detta del "baciamano", è affrescata da Mariano Rossi, che vi rappresentò il matrimonio tra Alessandro e Rossane (1787). Si trova al centro della facciata principale e funge da disimpegno tra l'Appartamento Vecchio e l'Appartamento Nuovo.
L'Appartamento Vecchio, posto sulla sinistra, fu il primo a essere abitato da Ferdinando IV e dalla consorte Maria Carolina ed è composto da una serie di stanze con pareti rivestite in seta della fabbrica di San Leucio. Le prime quattro stanze, di conversazione, sono dedicate alle quattro stagioni e affrescate da artisti come Antonio Dominici e Fedele Fischetti. Segue lo studio di Ferdinando II, con dipinti a tempera di Jakob Philipp Hackert che rappresentano vedute di Capri, Persano, Ischia, la Vacchieria di San Leucio, Cava de' Tirreni e il giardino inglese della reggia stessa. Dallo studio si accede, mediante un disimpegno, alla camera da letto di Ferdinando II, i cui mobili però furono distrutti e rifatti in stile Impero dopo la morte del sovrano a causa di una malattia contagiosa. Oltre la camera è la sala dei ricevimenti, che, mediante una serie di anticamere, è collegata direttamente alla Biblioteca Palatina e quindi alla cosiddetta Sala Ellittica, che ospita un notevole esempio di presepe napoletano.
L'Appartamento Nuovo, posto sulla destra della sala di Alessandro il Grande, fu costruito tra il 1806 e il 1845. Vi si accede tramite la Sala di Marte, progettata da Antonio de Simone in stile neoclassico e affrescata da Antonio Galliano. Proseguendo oltre l'adiacente Sala di Astrea, con rilievi e stucchi dorati di Valerio Villareale e Domenico Masucci, si giunge quindi all'imponente Sala del Trono, che rappresenta l'ambiente più ricco e suggestivo degli appartamenti reali. Questo era il luogo dove il re riceveva ambasciatori e delegazioni ufficiali, in cui si amministrava la giustizia del sovrano e si tenevano i fastosi balli di corte. Una sala lunga 36 metri e larga 13,50, ricchissima di dorature e pitture, che fu terminata nel 1845 su progetto dell'architetto Gaetano Genovese. Intorno alle pareti corre una serie di medaglioni dorati con l'effigie di tutti i sovrani di Napoli, da Ruggero d'Altavilla a Ferdinando II di Borbone (tranne Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat), poi un'altra serie con gli stemmi di tutte le province del regno, mentre nella volta domina l'affresco di Gennaro Maldarelli (1844) che ricorda la cerimonia della posa della prima pietra. Le successive stanze rappresentano il cuore dell'Appartamento Nuovo e furono ultimate dopo il 1816. Tra queste si ricorda la camera di Gioacchino Murat, in stile Impero, con mobili in mogano e sedie con le iniziali dello stesso Murat.
Parco:
Il parco della reggia si estende per 3 chilometri di lunghezza, con sviluppo sud-nord, su 120 ettari di superficie. In corrispondenza del centro della facciata posteriore del palazzo si dipartono due lunghi viali paralleli fra i quali si interpongono una serie di suggestive fontane che, partendo dal limitare settentrionale del giardino all'italiana, collegano a questo il giardino all'inglese: la Fontana Margherita,
la Vasca e Fontana dei Delfini, la Vasca e Fontana di Eolo, la Vasca e Fontana di Cerere, Cascatelle e Fontana di Venere e Adone, La fontana di Diana e Atteone, sovrastata dalla Grande Cascata.
Le vasche sono popolate da numerosi pesci, specialmente carpe e carassidi, e vi vegetano piante acquatiche delle specie Myriophyllum spicatum e Potamogeton crispus.
La Fontana Margherita, o del Canestro, chiude il giardino all'italiana e apre il percorso verso l'inglese con la prima delle vasche a sviluppo longitudinale.
La Fontana dei tre delfini rappresenta la figura di un mostro marino con la testa e il corpo di un delfino. L'opera fu eseguita da Gaetano Salomone. Quella dei Delfini, presenta una vasca misurante 470 metri per una larghezza di 27 e una profondità di 3 metri. Prende il nome dalla soprastante fontana formata da giganteschi delfini di foggia grottesca dalle cui bocche proviene l'acqua che l'alimenta.
La seguente Fontana di Eolo rappresenta il dio che, sollecitato da Giunone, suscita la furia dei venti contro Enea e i Troiani. L'opera fu eseguita da Gaetano Salomone, Brunelli, Violani, Persico e Solari. È adorna di ventotto statue di venti a fronte delle cinquantaquattro previste dal progetto originale, è una delle opere incompiute del parco: il progetto, di cui resta solo un modello in legno predisposto dallo stesso Vanvitelli, prevedeva un grande gruppo scultoreo di Eolo e Giunone su un carro trainato da pavoni. Grandioso comunque, l'emiciclo a porticato che chiude superiormente la vasca alimentata da una cascata che chiude come un velo alcuni fornici del portico.
Più avanti, la Fontana di Cerere, opera in marmo di Carrara di Gaetano Salomone, va a formare sette cascatelle ed è ornata di delfini e tritoni, Nereidi, statue dei fiumi Oreto e Simeto, tutte sprizzanti alti getti d'acqua. La scultura rappresenta Cerere che sostiene la medaglia della Trinacria. Completano la fontana una statua di Cerere che mostra un medaglione con la Trinacria e tutt'intorno ninfe e draghi. Le conchiglie, i tritoni e le anfore delle due divinità a lato della Dea rappresentano i fiumi siciliani dai quali sgorgano forti zampilli d'acqua.
A chiudere la serie delle fontane, prima della Grande Cascata, la Fontana di Venere e Adone: un grandioso gruppo marmoreo che mostra Venere intenta a dissuadere Adone dall'andare a caccia per evitare che possa essere ucciso da un cinghiale. Intorno ai protagonisti, ninfe, cani, fanciulli e amorini.
In fondo al parco troneggia la Grande Cascata, da cui una notevole mole d'acqua precipita in un bacino adorno del celebre gruppo di Diana e Atteone (opera di Paolo Persico, Tommaso Solari e Angelo Brunelli). Da una parte, Diana, circondata da ninfe, sta per immergersi nelle acque; dall'altra, Atteone, che aveva osato guardare Diana nella sua nudità, è già in parte trasformato in cervo e intorno a lui si agitano i cani che lo sbraneranno.
Giardino all'italiana:
Nell'area del Giardino all'italiana si giunge alla Peschiera Vecchia, costruita nel 1769 e voluta da Ferdinando IV per dilettarsi con piccole battaglie navali, mentre la Castelluccia, prima che fosse adibita ad abitazione per scampagnate, era il centro delle finte battaglie terrestri. Nella vasca, si allevavano i pesci che venivano serviti alla mensa reale. Tale vasca, venne realizzata sotto la direzione dall'architetto Collecini, durante l'assenza del maestro, che realizza come responsabile generale dei lavori. Collecini si dedica alla costruzione della Peschiera nel parco e rimoderna l'edificio della Castelluccia, nell'estremità orientale del bosco, trasformandolo in padiglione di giochi per il diciottenne re Ferdinando. Nel 1789 termina la costruzione della grande vasca con un isolotto al centro che per le sue dimensioni (270 x 105 m) è chiamata poi Peschiera Grande.La vasca presenta una pianta rettangolare delimitata da un parapetto interrotto da imbarcaderi che si affacciano sullo specchio d'acqua.
Il luogo era destinato alle esercitazioni per le battaglie navali del piccolo Ferdinando IV e prevedeva l'impiego di modellini appositamente costruiti. Al centro della vasca si distingue, sotto la folta vegetazione, un isolotto detto la “pagliara”, che doveva contenere un padiglione con frecce e cannoncini, poi trasformato in luogo per l'intrattenimento degli ospiti. Le battaglie navali si svolgevano nella Peschiera Grande e consistevano in un assalto che il re in persona, a capo di una flottiglia di barche, conduceva contro la "pagliara" che sorgeva sull'isolotto, munita come un fortino di "saettiere" e cannoncini. Per la manutenzione della "flotta" erano stati trasferiti appositamente un congruo numero di marinai, i "Liparoti" originari dell'isola di Lipari per i quali era stato costruito un apposito quartiere nei pressi della "peschiera". Durante le simulazioni militari, seppur in piccola dimensione, furono utilizzati dei veri e propri cannoncini, fucili e mortai.
Si tratta di un lago artificiale costruito nel Parco della Reggia nell'anno 1769 dall'architetto Collecini. Il lago, con un isolotto al centro, è lungo 270 metri, largo 105 e profondo 3,50. Tra il 1769 e il 1773, progettato per il divertimento del Re Ferdinando IV, vi si svolgevano finte battaglie terrestri e marittime con modelli di navi in scala ridotta. Vennero anche insediati in alcune abitazioni, nei pressi della vasca, dei marinai con le loro famiglie; "Liparoti" per poter organizzare i giochi nautici.
Poco distante si trova la Castelluccia, una sorta di fortezza in miniatura edificata nel 1769 per il divertimento e, forse, l'istruzione militare dei Principi reali. In origine, la torre ottagonale, il ponte levatoio, e soprattutto, una cinta bastionata, rendevano chiaro il carattere militare (sia pure di gioco) della struttura. Ma, nel 1819 la trasformazione dei bastioni in giardini ha modificato il disegno iniziale.
Giardino all'inglese:
All'interno del parco fu realizzato da John Andrea Graefer un giardino voluto dalla regina Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, moglie di Ferdinando IV, secondo i dettami dell'epoca che videro prevalere il giardino detto "di paesaggio" o "all'inglese", sottolineatura dell'origine britannica di spazi il più possibile fedeli alla natura (o almeno alla sua interpretazione secondo i canoni del Romanticismo).
La regina fu convinta da sir William Hamilton, inviato straordinario di sua maestà britannica presso il Regno delle Due Sicilie il quale, per individuare l'esperto progettista del giardino, si rivolse a sir Joseph Banks, noto per gli studi botanico-naturalisti e per aver partecipato con il capitano James Cook alla leggendaria spedizione dell'Endeavour. La scelta cadde su John Andrew Graefer, figura di spicco tra i botanici anglosassoni, allievo di Philip Miller. Graefer era noto nell'ambiente botanico internazionale anche per aver introdotto in Inghilterra numerose piante esotiche, alcune delle quali dal remoto Giappone.
L'opera di John Andrea Graefer cominciò nel 1786 e consentì al giardino di formarsi, di anno in anno, con piante e sementi individuate a Capri, Maiori, Vietri, Salerno, Cava de' Tirreni, Agnano, Solfatara, Gaeta. Nel 1789, mentre proseguiva il suo lavoro al Giardino Inglese, Graefer pubblicò in Inghilterra il Catalogo descrittivo di oltre millecento Specie e Varietà di Piante Erbacee e Perenni.
Il giardino è caratterizzato dall'apparente disordine "naturale" di piante (molte le essenze rare e, comunque, non autoctone), corsi d'acqua, laghetti, "rovine" secondo la moda nascente derivata dai recenti scavi pompeiani. Di spicco, il bagno di Venere, il Criptoportico, i ruderi del Tempio dorico.
Le fontane del parco sono alimentate dall'acquedotto Carolino, che fu inaugurato nel 1762 da re Ferdinando IV. Quest'opera che attinge l'acqua a 41 km di distanza è, per la maggior parte, costruita in gallerie, che attraversano 6 rilievi, e 3 viadotti (molto noto quello denominato "I ponti della Valle" sito in Valle di Maddaloni, di 60 metri di altezza e 528 metri di lunghezza, ispirato agli acquedotti di epoca romana).
Il suo autore, John Andrea Graefer, lasciò la Reggia di Caserta il 23 dicembre 1798 imbarcandosi sulla nave dell'ammiraglio Horatio Nelson insieme con la famiglia reale in fuga dall'arrivo dei francesi. Il giardino fu curato negli anni successivi dai tre figli di Graefer che presero in fitto il giardino dal Direttorio francese di Napoli e lo curarono salvandolo dalla rovina.

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