A Tela Santa Praxedes Atribuída a Johannes Vermeer é Realmente Verdadeira ou Uma Falsificação? - Tamara Follesa
Artigo
Con la fine dell’estate, approfittando di qualche giornata di
pioggia e momenti di naturale calo lavorativo, ho dedicato il tempo a
disposizione per riprendere in mano diverse faccende, riordinare le carte del
passato, svuotare casse e bauli: fare ordine tra le cose che ci appartengono da
sempre, ma che spesso dimentichiamo, dimenticandoci con essi luoghi, viaggi,
ricordi, momenti vissuti, dialoghi tenuti in lunghi pomeriggi, dibattiti
accademici avuti con straordinari colleghi, amici e mentori, a cui, talvolta è
tempo di ridare ascolto. Sistemando la mia straripante libreria e le casse
piene di volumi e riviste d'Arte, mi sono così imbattuta in un vecchio numero
del "Giornale dell'Arte", in cui, risfogliandolo a distanza di
qualche anno, ha catturato la mia attenzione un articolo dell'Agosto 2014,
sulla preannunciata vendita da Christie's di una "Santa
Prassede" (Olio su tela 101,6 x 82 cm.) proveniente dalla
collezione della mecenate polacca Barbara Piasecka-Johnson datata 1655 e
attribuita a Johannes Vermeer , dipinto presumibilmente agli esordi della sua
carriera artistica. La nota Casa d'Asta, propose una nuova campagna di indagini
condotta dal RijksMuseum con il supporto dell'Università di Amsterdam, che
riportò elementi che ricondurrebbero in maniera incontrovertibile all’ambito
olandese, eppure a discapito del buon esito scientifico, qualcosa sembra ancora
non convincere del tutto studiosi e collezionisti. Così ponendomi alcune
domande, nasce la mia analisi con considerazioni basate su un approfondimento
delle indagini.
L'opera in quella occasione fu proposta per una stima piuttosto
bassa rispetto alla reale convinzione e certezza di un attribuzione che potesse
essere condivisa ed accolta all’ unanimità dalla Comunità Scientifica. Sono
naturalmente propensa a pensare che fu una scelta prudente da parte di
Christie's, permettendo eventualmente così di essere lo stesso mercato
antiquario attraverso il parere di collezionisti esperti e raffinati, a
valutare il reale riconoscimento di paternità dell'opera, ma ahimè, le attese
furono deluse, e la risposta ottenuta non soddisfò le aspettative.
L'opera fu stimata tra 6.000.000 – 8.000.000 di Sterline, e aggiudicata per
“soli” 6.242.500 Sterline, poco al di sopra della stima minima proposta.
Il corpus pittorico di Vermeer riconosciuto all'unanimità, è
costituito da 35 opere, un numero assai esiguo, dovuto alla lentezza
dell’Artista nel dipingere piccole opere da cavalletto e una carriera artistica
assai breve, dovuta alla morte a soli 43 anni, dopo aver condotto una vita
modesta, lasciando la famiglia in gravi difficoltà finanziare. I debiti
lasciati da Vermeer furono risolti dai familiari mettendo all’ Asta gran parte
dei dipinti dell’Artista nel 1696 (in quella occasione furono venduti 21
dipinti). Nel 1676, un anno dopo la sua morte, venne redatto un inventario dei
beni di sua proprietà e le opere messe all’ incanto dai familiari vennero descritte
in un catalogo del 1752 da G. Hoet; attraverso questi documenti abbiamo le
attestazioni più importanti per l’attribuzione certa di 33 opere al pittore,
(di cui uno trafugato nel 1990 “Il concerto” Olio su tela 72.5 cm ×
64.7 cm. Isabella Isabella Stewart Gardner Museum in Boston,) a queste si
aggiungono i due dipinti conservati alla National Gallery di
Washington “Ragazza con il flauto” (Olio su tavola, 20 x 17,8 cm.
probabile 1665/1675) e “Ragazza con il cappello rosso” (Olio su
tavola, 22.8 x 18 cm. 1665/66) e tre opere giovanili, che però non godono
di pareri concordanti. In ventidue anni di attività gli vengono riconosciute
35-38 opere al massimo considerando le attribuzioni incerte e dibattute, il che
significa che mediamente ha realizzato meno di due dipinti all’ anno. Il suo
modus operandi è lento e metodico, esegue un quadro alla volta con una tecnica
e precisione quasi maniacale, concentrandosi anche nel più minimo particolare
dato da luci, toni di colore, sfumature delle ombre. In passato però non fu
sempre così, le opere attribuite all’ Artista sono state anche oltre settanta,
nello specifico fu il critico d’arte francese Etienne J. Theophilè
Thorè nel 1866 a pubblicare in tre articoli usciti
nella "Gazette des Beaux Arts" di Parigi, il suo interesse
per Vermeer ampliando sensibilmente quello che era il suo catalogo pittorico.
Questo numero certamente troppo alto, fu abbattuto la prima volta nel 1948
riducendo le opere a 43, taglio che proseguì negli anni successivi sino al 1975
quando con la pubblicazione “Johannes Vermeer van Delft
1632-1675”, Albert Blankert fece un taglio ancora più drastico,
escludendo quattro opere oggi condivisibilmente riconosciute. Per tutte queste
ragioni gli studiosi sono molto poco propensi ad ulteriori scoperte inerenti la
sua produzione artistica, considerando inoltre che non sono pervenuti disegni,
schizzi o incisioni dell’Artista, che la documentazione risulta essere scarsa,
e i dipinti dispersi non sono certo tanti. La “Santa Prassede” datata
1655, sarebbe stata realizzata quando il pittore aveva 22/23 anni: il dipinto
andrebbe così a collocarsi all’ interno di quel piccolissimo gruppo di opere
giovanili “Diana e le ninfe” (Olio su tela 98,5×105 cm. 1653-56,
L’Aja Mauritshuis ) ; "Cristo in casa di Marta e Maria” (Olio su
tela 160x142 cm. 1654-55, Edimburgo National Gallery of Scotland); “La
mezzana” (Olio su tela, 1656 Dresda, Gemaldegalerie), raffiguranti
soggetti religiosi e mitologici, rappresentanti quel genere di pitture che
meglio si prestavano per l’esercizio tecnico-pittorico dei principianti che
potevano così raggiungere gli alti livelli dei grandi Maestri, specie di quelli
della tradizione italiana; nello specifico come è già ampiamente noto, l’opera
è copia del dipinto di Felice Ficherelli (San Gimignano, 30 agosto
1605 – Firenze, 5 marzo 1660) pittore italiano attivo in Toscana,
conosciuto come “Il Riposo” (“Santa Prassede” Olio su tela, 1645
circa, Ferrara, collezione privata), pertanto una perfetta esercitazione
dei pigmenti, del colore e dei metodi di applicazione di un Maestro Italiano.
Nel Settembre 2012 fu allestita a Roma alle “Scuderie del
Quirinale” la mostra “Vermeer, il secolo d’oro dell’Arte
Olandese” in cui furono esposti 57 dipinti di cui 8 dell’Artista di Delft.
Tra questi fu esposta anche la "Santa Prassede", in un inedito
confronto con l’originale di Ficherelli, offrendo così ai visitatori una
bellissima occasione per poter effettuare un esame de visu dell’opera e
approfondirne la conoscenza e vagliarne gli aspetti tecnico-compositivi, stilistico
e qualitativi. Certo è che andrebbe sottolineato anche il fatto che di per sé
non è l’accostamento a Ficherelli che potrebbe eliminare ulteriori dubbi
o portare conferme circa l’attribuzione a Vermeer, e che anzi forse in quella
occasione erano più le domande rimaste in sospeso, che non le risposte,
poiché la vera comparazione utile per avere parametri significativi nel
ricondurre l’opera inoppugnabilmente all’ Artista olandese, andrebbe
fatta con le sole tre opere giovanili a carattere mitologico/religioso: una
giornata di studi e ricerca con i quattro dipinti uno a fianco all’ altro
sarebbe a mio avviso certamente, estremamente costruttiva. Il dipinto fu
associato per la prima volta a Vermeer nel 1969, in quell’ anno l’opera fu
prestata al Metropolitan Museum of Art di New York per una mostra
sulla pittura barocca fiorentina, come di Ficherelli: in quell’occasione fu
notata la firma in basso a sinistra “Meer 1655” e lo storico
dell’Arte Michael Kitson prese in considerazione l’ipotesi che il pittore
olandese avesse potuto fare una copia del modello italiano.
n questo caso quindi la firma è stata di vitale importanza,
poiché senza di essa probabilmente nessuno mai avrebbe considerato l’opera come
olandese e non italiana, come sino ad allora era stato naturale pensare. Il
quadro fu pubblicato per la prima volta nel 1986 e nel 1995 fu esposto come
opera giovanile dell’Artista. Arthur K. Wheelock, curatore alla National
Gallery of Art di Washington, sostiene che questo fu il primo dipinto
datato dell’Artista. Ma la svolta attributiva, come si può leggere dal Catalogo
di Christie’s, fu data nel 2014 dalla campagna di indagini condotta dal Rijksmuseum;
secondo l’esito di tali analisi il primo dato da prendere in considerazione è
stato che firma e data risultano coeve al dipinto, fugando i numerosi dubbi
circa l’apposizione della firma successiva all’ esecuzione dello stesso, tale
tesi è stata supportata altresì da ulteriori test eseguiti a Londra da Libby
Sheldon, ricercatrice ed esperta di materiali pittorici, nota per aver
analizzato 3 dipinti di LS Lowry nel programma della BBC1 “Fake o Fortune”.
Le sue osservazioni in merito all’ analisi della firma vengono riportate
pedissequamente da Christie’s, citando quanto segue "Sebbene non sia
stata raggiunta una conclusione definitiva sulla data esatta della firma, la
stabilità della vernice, una volta testata, suggerisce che anch’essa è stata
dipinta da molto tempo. La vernice nera che forma l'iscrizione "Meer
1655" non è stata ripassata o rafforzata. Il nero utilizzato ha un
aspetto compatibile e similare a quello della vernice nera dell’ombra vicina, e
la sua condizione, il modo in cui è invecchiata con il tempo, suggerisce che è
vecchia esattamente come il dipinto.”
All’ angolo destro dell’opera, dipinto sul color ocra chiaro,
pare esserci un’altra iscrizione, sfuggita per molto tempo agli occhi degli
esperti, “Meer N ... R ... o ... o” ma così frammentaria che nemmeno
le analisi sono riuscite a fornire un’interpretazione significativa. La teoria
ancora oggi sostenuta, riportata per la prima volta nel 1986 dallo Storico
dell’Arte Egbert Havercamp-Begeman, è quella secondo cui la dicitura si
potrebbe ipotizzare completa come "Meer naar Riposo", in
quanto “Riposo” il soprannome dell’italiano Ficherelli. Inutile
sottolineare quanto due firme nella stessa tela siano rarissime per un dipinto
del XVII Secolo. Una domanda che ci si dovrebbe eventualmente porre se
non si volesse comunque credere all’ esito riportato dalle analisi, è in che
modo e in quali circostanze potrebbe venire aggiunta una firma di Vermeer ad
un’opera così improbabile per l’Artista? L’iconografia è decisamente lontana
dal Vermeer riconosciuto, e la teoria di un’apposizione successiva
sarebbe stata certamente più sostenibile su un dipinto similare per stile,
genere e composizione, ma non è certo questo il caso.
Il secondo risultato ottenuto dalla campagna di indagini
inerente le analisi dei pigmenti ha dimostrato che i materiali utilizzati
furono non solo della stessa epoca, ma di ambito olandese, in particolar modo
il Bianco di Piombo (per citare le stesse parole di Christie’s) è
incontrovertibilmente non italiano. Tale pigmento è stato utilizzato in tutto
il dipinto, ed era tra quelli più utilizzati per la pittura a olio del XVII
Secolo, prodotto in larga scala, abbastanza economico e facilmente reperibile.
Dall’ analisi del rapporto isotopico effettuato presso la Free University di
Amsterdam si è stati in grado di risalire alle origini del piombo e distinguere
tra i minerali di piombo cisalpino e transalpino, e riconoscere la materia
prima principale del piombo contenuto nel pigmento. Questo esame è estremamente
preciso, e permette di ricondurre la forma grezza del minerale al pigmento,
determinando così se il bianco di piombo proviene da una fonte settentrionale o
meridionale, questo ne ha permesso di stabilirne con assoluta certezza,
collocando il bianco principale nel gruppo di campioni olandesi / fiamminghi,
riconoscendone la paternità nord-europea. Va detto inoltre che all’ epoca
il numero di pigmenti disponibili per qualsiasi pittore era veramente esiguo e
che non esisteva la vasta selezione arrivata con l’era industriale e lo
sviluppo dell’industria chimica, per cui la tavolozza cromatica di Vermeer era
costituita da meno di 20 pigmenti, pertanto è sicuramente estremamente facile
ricondurre un determinato materiale alla sua palette, contrariamente è noto ad
esempio che la tavolozza più variegata fu probabilmente quella di Rembrandt, di
cui sono conosciuti circa 100 pigmenti. Un’altra assonanza con la tecnica
olandese fu l’utilizzo di una base di gesso con elementi di bianco di piombo.
Una volta stabilita la certa provenienza olandese dei pigmenti, è stato
effettuato lo stesso test sul dipinto “Diana e le ninfe” (Olio su
tela 98,5×105 cm. 1653-56, L’Aja Mauritshuis), affinché si costituisse un
database di informazioni per poter comparare opere realizzate in uno stesso
periodo storico e di attribuzione unanimemente accettata dell’Artista. Il
risultato ottenuto è stato così straordinario che si è ipotizzato che lo stesso
lotto pittorico di pigmenti sia stato utilizzato per entrambe le opere: l’esame
tra i due campioni ha fornito una corrispondenza quasi identica di valori di
abbondanza di isotopi. (La relazione tecnica degli esami si può avere su
richiesta da Christie’s). Tutte queste analisi hanno costituito la prova
scientifica incontrovertibile che il dipinto non sia stato realizzato in
Italia. Un altro elemento che ha convinto alcuni storici è dato dalla tecnica
con cui è stata riprodotta la Santa Prassede. Quando si riproduce un dipinto
praticamente fedelmente come in questo caso, da un modello preesistente,
si presuppone che questo venga costruito interamente in un unico blocco sin
dall’ inizio, dipingendo prima gli elementi in primo piano per poi arrivare
alla parte posteriore, in questo caso invece curiosamente la tecnica adottata
dimostra che la composizione è stata costruita strato dopo strato come fosse
una composizione inedita, dipingendo prima lo sfondo, aggiungendo sopra la
pittura man mano i nuovi elementi, con delle sovrapposizioni dei piani, come
se fossero, per citare il Professor emerito Jorjen Wadum responsabile
del reparto di conservazione dello Statens Museum for Kunst, la Galleria
Nazionale della Danimarca, dei similpentimenti. Oltre questo va
specificato anche che in un esercizio di riproduzione accademica, ai fini di
studio del metodo e della tecnica, fosse più improbabile che un Artista
lasciasse il proprio segno esecutivo quale impronta inconfondibile della sua
mano, al contrario, specialmente in giovane età quando ancora la propria
personalità artistica poteva non avere contorni ben definiti, si tendeva ad
imitare più possibile il Maestro copiato, poiché un’esecuzione impeccabile
sarebbe stata il prodotto del raggiungimento di una tecnica sopraffina. Questo
aspetto va tenuto in considerazione poiché a mio avviso è un elemento chiave
nell’ affrontare una valutazione stilistica, in quanto la natura imitativa del
dipinto rende dissimile l’opera dalle altre composizioni giovanili di Vermeer,
pertanto più complesso un eventuale confronto. D’altro canto come fece notare
nel 1985 Arthur K. Wheelock, curatore alla National Gallery of Art di
Washington, il viso della "Santa Prassede" ha una
somiglianza notevole con il viso del dipinto “La cameriera che dorme” (Olio
su tela 87.6 x 76.5 cm. 1656–57 c. Metropolitan Museum of Art, New York) realizzato
pochi anni dopo. Le due figure sono speculari l’una all’ altra, così per una
migliore comprensione comparativa, attraverso l’utilizzo dei moderni programmi
di grafica ho girato il volto della cameriera che dorme, nella stessa direzione
della Santa Prassede, e come si può notare, le similitudini sono
impressionanti.
Nonostante la positiva campagna di indagini e le argomentazioni
proposte a sostegno dell’ascrizione a Vermeer, molti studiosi continuano a
sostenere la tesi secondo cui il quadro sia italiano. L’argomentazione più
diffusa dai detrattori di questa attribuzione è data dalla domanda (senza
risposta) “Quando Vermeer vide l’originale di Ficherelli e potè dipingerla
così fedelmente?". Dalle fonti documentaristiche non risulta che il
pittore abbia mai viaggiato in Italia, d’altra parte non è nemmeno documentato
che l’opera di Ficherelli potesse trovarsi in Olanda (considerando poi che il
pittore a malapena si spostava da Firenze), e non risultano sue copie note nei
Paesi Bassi. L’unica congettura plausibile quindi rimarrebbe, nell’ eventualità
di aver visto una qualche riproduzione, che abbia realizzato la propria tela da
una copia non pervenuta dalle fonti e che, se quindi davvero non si è mai
spostato, l’unica esperienza con l’arte italiana è collegabile alle sole
riproduzioni che potevano essere disponibili in quell’ epoca a Delft. Eppure,
contrariamente a questa teoria sostenuta da molti studiosi, io ritengo che la
qualità riproduttiva dell’opera di Vermeer sia così elevata, da non poter essere
il frutto di una riproduzione di una copia, ma l’esecuzione pittorica eseguita
sulla base dell’originale del Maestro, anche perché altrimenti altre questioni
dovrebbero essere messe in discussione: se Vermeer non avesse riprodotto il
dipinto dall’ originale, che senso avrebbe avuto imitare un Maestro come
Ficherelli e soprattutto con un soggetto così particolare e poco diffuso?Se
avesse semplicemente voluto copiare un qualsiasi Maestro Italiano ai fini di
studiarne la tecnica e la composizione, avrebbe potuto attingere a moltissime
copie con una diffusione maggiore di soggetti a carattere mitologico/religioso
realizzate da artisti, certamente già da allora, più noti di Ficherelli. Per
tali ragioni quindi sono convinta che una scelta simile abbia ragioni ben
precise e ben specifiche, e che, anche se non sappiamo ne dove, ne quando,
Vermeer abbia visto l’originale di Ficherelli. A tal proposito infatti il
Prof. Wheeloock sostiene e suggerisce che nonostante non ci siano
attestazioni scritte che lo dimostrino, un qualche spostamento di Vermeer in
Italia non è del tutto escluso. Tale congettura nasce dallo studio delle altre
opere giovanili dell’Artista le cui composizioni hanno trovato riscontro con
dipinti di Artisti Fiamminghi attivi al sud delle Fiandre e a Utrecht, che
suggeriscono la familiarità di Vermeer con correnti esterne a Delft, sottese a
ipotizzarne degli spostamenti. In articolo datato 2002, ma a
cui si fa riferimento alla mostra di Roma del 2012 quindi è stato certamente
aggiornato dopo le più approfondite indagini svolte sulla Prassede, Jone
Bone fa un’accurata analisi, in cui diversi studiosi escludono totalmente
l’eventualità che l’opera sia di Vermeer concludendo con questa frase “La
spiegazione più semplice che copre tutti i fatti del caso è che il dipinto è
una copia eseguita sia dal pittore originale, Ficherelli, a Firenze, o da un
altro artista nella cerchia di Ficherelli. Le successive firme sul dipinto si
riferiscono probabilmente a uno o più dei tanti artisti dell'epoca con il nome di
Meer o van der Meer, non Johannes Vermeer di Delft.”
Chissà se poi alla luce degli esiti scientifici del 2014
qualcuno si sia ricreduto?
Nel 2008, anche in questo caso quindi antecedentemente alla
nuova campagna di analisi, uno studio della Storica dell’Arte Francesca
Baldassari, massima esperta di Seicento fiorentino, nella monografia dedicata
al pittore toscano Simone Pignoni, autore di una “Santa Prassede” (Olio
su tela, 89 x 74 cm. 1626/1698, Museo del Louvre, Parigi), fece
riferimento alla tela proveniente dalla collezione Piasecka-Johnson con una
convinta attribuzione ascrivibile alla mano di Felice Ficherelli.
Ma al quadro sino ad ora narrato, le cui asserzioni tutto
sommato non sono nuove, si aggiunge un altro tassello interessante. Il 17
Ottobre 2017 la Casa d’Asta Dorotheum, ha messo per la prima volta all’ incanto
nella sua storia, un altro modello, conservato per secoli in collezione
privata, pressoché similare nella composizione, ma molto più intenso e vibrante
nei cromatismi, e a mio avviso di qualità superiore, dell’opera di Felice
Ficherelli, rappresentante la "Santa Prassede" (Olio su
tela, 115 x 90 cm.). Il dipinto presentato con cornice fiorentina coeva in
legno intagliato e dorato, è stato stimato tra 150.000/200.000 Euro, e
aggiudicato per 350.508 Euro. Gli studiosi sostengono che questa fu
la prima versione dipinta da Ficherelli; le analisi tecniche del dipinto,
nonché la radiografia della tela eseguite dal Prof. Gianluca Poldi,
specializzato in analisi scientifiche dedicate allo studio e alla conservazione
di opere d’arte, hanno messo in evidenza una serie di pentimenti da parte
dell’Artista: la struttura architettonica sulla destra risultava essere più
ricca, ed era presente una colonna toscana sulla sinistra; inoltre il martire
decapitato a terra pare fosse concepito in maniera differente. Da queste
scoperte pertanto, considerando che gli altri due esemplari seguono la linea
compositiva visibile del dipinto, si è portati a pensare che questo fosse il
primo modello realizzato. Sovente le immagini divulgate online delle opere
d’arte non corrispondono alla tonalità cromatica originale del dipinto, e
questo porta ad uno sfasamento dei valori tonali che può compromettere
notevolmente la lettura di un’opera se non si dispone dell’originale. Come si
può verificare attraverso il video proposto da Christie’s i colori
più verosimilmente affini alla visione dal vivo della Santa Prassede venduta
nel 2014, tendono più al rossastro, e non al rosa come nelle immagini più
largamente diffuse.
Alla luce dello svelamento di questa nuova versione, di cui
comunque se ne conosceva l’esistenza già da tempo, ci si può porre un altro
quesito: quale delle due Vermeer avrà realmente visto e copiato?
Nel 2014 in una bella intervista alla Famiglia Fergnani, qui proprietari
dal 1970 del modello più noto della Prassede di Ficherelli, dichiararono di non
essere a conoscenza di altre copie del quadro, spesso ipotizzate, ma delle
quali non si riscontrava traccia tangibile. Eccolo rinvenuto grazie alla
vendita di Dorotheum.
Precedente a queste tre versioni pittoriche della "Santa
Prassede", è senza dubbio un disegno sempre di Felice
Ficherelli conservato al Museo degli Uffizi di Firenze, Gabinetto
Disegni e Stampe (N. Inv. N. 3705 S) che differisce nello sfondo, in
cui al posto della costruzione architettonica è visibile un’approssimazione
vegetale di piante e terreno erboso con un piccolo tempio romano
all'orizzonte.
Come accennato precedentemente, nella scelta imitativa di
Vermeer, colpisce un soggetto così specifico e poco diffuso rispetto al mito di
altri Santi. Molti studiosi sono concordi nell’ argomentare tale specifica
scelta con la conversione del Pittore di Delft al cattolicesimo poco prima di
sposarsi il 20 Aprile 1653. Wheelock sostenne più
specificatamente che tale preferenza potrebbe essere interpretata come una
inequivocabile dichiarazione da parte dell’Artista nei confronti della fede
cattolica. Prassede era una vergine romana vissuta nel II secolo,
ritenuta secondo la leggenda, assieme a Pudenziana, figlia del Senatore
Pudens, che ospitò San Pietro nella sua casa. Pur non subendo il martirio,
prestò assistenza ai cristiani condannati, raccogliendone il sangue con spugne,
lavandone e seppellendone i corpi. (J. Hall “Dizionario dei soggetti e dei
simboli nell’arte” 1974, Longanesi & C. Milano, pag. 337) .
L’ideazione compositiva di Ficherelli dal carattere così devozionale, è inedita
nel suo genere, nessun altro prima di lui aveva rappresentato la Santa in quel
modo. La più nota Prassede che mi viene in mente è quella
di Antonio Carracci (Olio su tela, 98 x 127 cm. 1606/1609 Pinacoteca
Nazionale di Bologna, Acquisita dal Ministero dei Beni e delle Attività
Culturali nel 2016), la cui rappresentazione in piedi ne conferisce minor
coinvolgimento e pathos nel prodigarsi nel gesto di raccogliere il sangue dei
cristiani; alcune versioni realizzate da Pulzone Scipione in cui
Prassede viene raffigurata seduta; un modello di ambito lombardo di Bernardino
Luini con la giovane rappresentata a mezzo busto (retaggio dei ritratti
leonardeschi) e quella forse più certamente drammatica ed evocativa di Simone
Pignoni (Olio su tela, 89 x 74 cm. 1626/1698, Museo del Louvre, Parigi)
. Nell’Archivio della Fondazione Zeri in cui si possono vedere i
modelli citati, stranamente non è presente l’esemplare di Ficherelli. A
questi si aggiunge un bel modello di Prassede in stato contemplativo dipinto
da Giovanni Lanfranco venduto da Sotheby’s nel
2015.
Esistono opere nella Storia dell’Arte largamente imitate, è
molto facile trovare per alcuni soggetti svariate copie, spesso realizzate in
epoche più tarde, tra metà Settecento e metà Ottocento. Curiosamente, eccetto
le due versioni di Ficherelli e la versione attribuita a Vermeer, nonché lo
stesso disegno preliminare di Ficherelli, non risultano copie in merito.
Personalmente, oltre le informazioni già note, ho provato ad effettuare diverse
ricerche incrociate nei più importanti database mondiali per l’archiviazione di
immagini di opere d’arte, ma tale ricerca non ha prodotto nessun risultato, se
non la conferma di quanto noto dell’assenza di ulteriori copie, anche se
fossero di scuola minore e bassa qualità, dell’iconografia prassediana del Ficherelli.
Naturalmente tale ricerca non ha carattere specifico di studio, per cui non è
stata approfondita nella maniera più accurata possibile, pertanto ulteriori
esplorazioni certamente farebbero ben sperare in altri esiti, e se qualcuno
avesse approfondito studi e ricerca sull'iconografia della "Santa
Prassede" e lo stile compositivo inventato dal Ficherelli, la
condivisione e il dibattito, sono sempre molto graditi.
A questo punto però rimane un’altra domanda senza risposta:
come è possibile che solo Vermeer si sia cimentato nella copia di quest’opera?
Possibile che nessun altro abbia considerato il dipinto, così
unico, un bel modello da riprodurre?
All’ interno dell’accurato sito Essential Vermeer, il
portale interamente dedicato alla ricerca sull’ Artista Olandese, a cura dello
Storico dell’Arte e Pittore Jonathan Janson, di cui ne è autore
e webmaster, che probabilmente, considerando non solo l’ampia ricerca, ma
la natura della sua produzione artistica, ha fatto di Vermeer una vera e
propria ossessione, inserisce un simpatico tool per la votazione aprendo
il dibattito con gli appassionati tra gli addetti ai lavori e non, che si
saranno imbattuti nel suo portale, ponendo questa domanda:
“Credi che questo dipinto sia un’opera autentica di Johannes
Vermeer?”
Nenhum comentário:
Postar um comentário