Roma - Itália
Museu do Risorgimento Milão
OST - 1880
Il dipinto è una delle opere più significative dedicate all'evento conclusivo dell'epopea risorgimentale, la presa di Porta Pia a Roma il 20 settembre 1870 da parte dell'esercito italiano, al comando del generale Raffaele Cadorna. L'operazione militare poneva fine al otere temporale del Papa, dopo numerosi tentativi di conciliazione tra Chiesa e Stato: Roma veniva annessa al Regno d'Italia, divenendone capitale. Militarmente debole dopo la caduta di Napoleone III a Sedan e il ritiro delle truppe francesi da Roma, papa Pio IX on riuscì ad ostacolare gli eventi. Lungo le mura aureliane, nei pressi della ichelangiolesca Porta Pia, grazie ad alcune cariche esplosive, venne aperta una breccia, attraverso la quale irruppero i bersaglieri e alcuni reparti di fanteria.
Durata poco più di quattro ore, la battaglia viene descritta da Ademollo con dovizia di articolari, sia nella resa dell'azione militare che nella definizione di ogni singolo personaggio.
Il taglio compositivo, l'accentuazione voluta sul movimento, l'apparire quasi evocativo, sullo sfondo, delle mura violate della città eterna, rendono l'opera una delle più riuscite edicate al soggetto. Dai volti dei giovani soldati, ognuno caratterizzato individualmente, appare la loro adesione all'ideale unitario: Carlo Ademollo rende con fedeltà quei momenti di concitazione, restituendo alla storia anche singole vicende umane, come il sacrificio del maggiore Giacomo Pagliari, alla guida del 34° Battaglione Bersaglieri.
Una visione più attenta del dipinto consente di evidenziare anche particolari curiosi sulle uniformi e le armi utilizzate: il cappello da bersagliere, detto Morettino, aveva piume di gallo cedrone, nere per i soldati e di color verde per gli ufficiali, che indossavano anche la ascia azzurra dei Savoia, il cui ricordo si ritrova oggi nel linguaggio sportivo quando gli atleti italiani sono chiamati “Azzurri”; lo zaino, in pelle, provvisto di uno sportellino per
le cartucce, poteva contenere le “provvigioni da bocca” per tre giorni, una fiaschetta di aceto o acquavite da allungare con acqua; sopra lo zaino veniva collocato, come si può vedere nel dipinto, un sacco di tela per proteggersi dal freddo, da riempire, in caso di necessità, con della paglia per diventare un materasso di fortuna. Sulle spalle del bersagliere all’estrema sinistra della scena è visibile inoltre la terza scarpa “di scorta”: essendo le scarpe ambidestre potevano essere sostituite indifferentemente. Realismo e enfasi si fondono nel dipinto di Ademollo con equilibrio, restituendo un’immagine veritiera dell’evento, testimoniato anche da alcuni scatti fotografici, come ad esempio la nota ripresa di Altobelli.
Carlo Ademollo nato a Firenze il 9 ottobre 1824, nipote dell’artista milanese Luigi Ademollo, si forma a Firenze presso l’Accademia di Belle Arti sotto la guida di Giuseppe Bezzuoli, un tardoromantico specializzatosi in vedute ma anche in dipinti di soggetto storico, al tempo molto richiesti. Aggregatosi verso il 1850 alla scuola di Staggia, paese del senese dove un piccolo gruppo di artisti, sul modello dell’Ecole de Barbizon, diede vita ad una pittura naturalistica dal vero, Ademollo frequenta il noto Caffè Michelangelo a Firenze - affrescandone anche una sala con la Disfida di Barletta - senza tuttavia aderire ufficialmente al gruppo dei Macchiaioli. La sua partecipazione alle vicende risorgimentali risale al 1859, quando prende parte, come volontario, alla seconda guerra di indipendenza. Nel 1866 è aiutante del comandante della Guardia Nazionale Toscana. Le sue doti artistiche e i suoi ideali gli consentono di essere nominato dal re pittore d’armata e di illustrare i più importanti momenti del Risorgimento italiano. Di sua mano sono anche intensi ritratti dei protagonisti di questi giorni, alcuni di loro, come ad esempio i fratelli Cairoli, legati all’artista da profonda amicizia. Professore corrispondente presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze dal 1869, muore nella sua città natale il 15 luglio 1911.
Il 20 settembre 1870 segna
una data importante sia per l’Italia che per la Chiesa cattolica. Da una parte,
con la cosiddetta breccia di
Porta Pia, si arriverà alla definitiva unità d’Italia grazie
all’annessione di Roma, e dall’altra alla fine
dello Stato Pontificio e del potere temporale del papa.
L’anno successivo Roma diventa capitale d’Italia, trasferita da Firenze.
La conquista di Roma faceva
parte dei piani del Regno d’Italia e di Vittorio
Emanuele IIper la definitiva unità politica dell’Italia.
Già nel 18 settembre 1860, in
pieno risorgimento italiano,
le truppe piemontesi del Regno di Sardegna riuscirono a sconfiggere l’esercito
pontificio a Castelfidardo.
Con questa vittoria il Regno di Sardegna riuscì ad annettere le Marche e
l’Umbria, e lo Stato della Chiesa si ridusse all’attuale Lazio meno la
provincia di Rieti.
Questa battaglia fu voluta da re Vittorio Emanuele II dopo che Garibaldi, con la spedizione dei Mille, aveva conquistato tutta l’Italia meridionale. Le regioni d’Italia del nord e quelle del sud erano divise solo dallo Stato Pontificio e ciò non permetteva la totale unione del Regno.
Il 17 marzo 1861 fu
proclamato il Regno d’Italia e
Vittorio Emanuele II ne assunse la carica di re. Mancava all’appello ancora la
città di Roma.
L’evento che incoraggiò il re alla definitiva presa di Roma fu lo scoppio della guerra franco-prussiana. Questo evento costrinse la Francia a ritirare le proprie truppe dallo Stato pontificio che da anni lo proteggevano. L’Italia allora ne approfitta per cercare un accordo con Roma e con il papa per arrivare all’unificazione politica della penisola.
L’8 settembre 1870 Vittorio Emanuele II manda una lettera a papa Pio IXmanifestando la necessità delle truppe del Regno d’Italia di entrare nello Stato Pontificio per la sicurezza dell’Italia e della Santa Sede. Fu a quel punto, davanti al rifiuto del papa di cedere gli ultimi possedimenti al Regno d’Italia, che le truppe italiane invasero Roma: il generale Cadorna guidò l’artiglieria che riuscì ad aprire una breccia a Porta Pia nelle mura della città mettendo fine al potere temporale del papa.
Si compiva così l’annessione di Roma all’Italia voluta
dal Parlamento già nel 1861. I possedimenti del papa furono limitati al
Vaticano e l’anno seguente Roma
diventò capitale del Regno.
La risposta di Pio IX fu quella di scomunicare i bersaglieri che sconfissero gli zuavi pontefici e dichiarare il re Vittorio Emanuele II “usurpatore delle province ecclesiastiche”. Decise di non riconoscere la sovranità italiana su Roma e nonostante la legge delle guarentigie del 13 maggio 1871, in cui Il Regno si impegnava a tutelare l’esercizio del papa e regolava i rapporti tra Stato e Chiesa, il papa si dichiarava prigioniero dell’Italia, rifiutando qualunque tentativo di accordo.
Nel 1874 emanò il Non expedit con cui vietava i cattolici italiani la partecipazione alla vita politica italiana per non legittimare le appropriazioni violente dei possedimenti papali. Disposizione abrogata ufficialmente solo da papa Benedetto XV nel 1919.
La risposta di Pio IX fu quella di scomunicare i bersaglieri che sconfissero gli zuavi pontefici e dichiarare il re Vittorio Emanuele II “usurpatore delle province ecclesiastiche”. Decise di non riconoscere la sovranità italiana su Roma e nonostante la legge delle guarentigie del 13 maggio 1871, in cui Il Regno si impegnava a tutelare l’esercizio del papa e regolava i rapporti tra Stato e Chiesa, il papa si dichiarava prigioniero dell’Italia, rifiutando qualunque tentativo di accordo.
Nel 1874 emanò il Non expedit con cui vietava i cattolici italiani la partecipazione alla vita politica italiana per non legittimare le appropriazioni violente dei possedimenti papali. Disposizione abrogata ufficialmente solo da papa Benedetto XV nel 1919.
La data della Breccia di Porta Pia è il simbolo della nascita dell’Italia unita e fu festività nazionale fino al 1930, quando fu cancellata dai Patti Lateranensi voluti da Mussolini.
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