San Fermo della Battaglia - Itália
Museu Nacional do Risorgimento Italiano Turim
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La battaglia di
San Fermo ebbe luogo il 27 maggio 1859, quando Garibaldi, al comando dei
Cacciatori, sgomberò le posizioni avanzate austriache poste a difesa di Como,
si fortificò e seppe respingere un contrattacco, inducendo il nemico a
sgomberare la città.
Il 17 marzo 1859 Garibaldi assunse il comando dei Cacciatori. Si trattava di una brigata leggera, di circa 3 500
uomini, senza cannoni e senza cavalleria (ad esclusione degli esploratori),
male armata ed equipaggiata, ma con l'uniforme dell'esercito piemontese,
animata da forte spirito combattivo e guidata da ufficiali esperti, tutti
reduci delle guerre del 1848-1849.
Provenendo da Sesto
Calende, Garibaldi aveva
liberato Varese dopo aver affrontata e respinta, il 26 maggio 1859, la Brigata Rupprecht del tenente maresciallo Karl
von Urban, uscita da Como ed ivi ritiratasi, con perdite, a seguito allo scontro
ricordato come la battaglia di Varese.
Il 27 maggio i
volontari prendevano la via di Como,
allora la città più importante della Lombardia settentrionale e base degli
austriaci. Due erano le strade a disposizione: quella meridionale,
attraverso Malnate, Binago ed Olgiate entrava in
Como da sud; quella settentrionale (ora chiamata “garibaldina”) da Malnate deviava a nord
per Uggiate e
attraverso Cavallasca accedeva
in Como dalle colline che chiudono la città da ovest, per una stretta chiusa a
nord dal confine svizzero (oggi noto agli appassionati del Giro di Lombardia come Passo di San Fermo).
Nell'incertezza,
Urban aveva schierato le proprie forze fra San
Fermo, a nord-ovest, e Civello, a sud-ovest, con avamposti sul fiume Lura, sei chilometri
dalla parte di Varese e
le riserve al centro dalle parti di Montano Lucino. Oltre alla
Brigata Rupprecht, che aveva combattuto a Varese, Urban poteva schierare la
Brigata Agustin, giunta, nel frattempo, di rinforzo.
Garibaldi prese ad
avanzare da Varese, attraverso Malnate e Binago sino ad Olgiate, raggiunta verso le
11:00. Di lì lasciò sulla destra il 1º reggimento di Cosenz, dando ad intendere
di voler passare a sud e deviò gli altri due a nord verso San
Fermo attraverso Parè e Cavallasca, raggiunta verso
le 15:00.
Giunto a Cavallasca, Garibaldi vi pose il
proprio quartier generale ed incaricò dell'attacco Medici, comandante del 2º
reggimento colà presente.
Di fronte aveva un
avamposto austriaco, ben fortificato nell'oratorio del villaggio di San
Fermo.
A Cavallasca il generale
Medici decise di dare l'assalto su tre colonne: la prima colonna del capitano
Cenni (una compagnia più i carabinieri
genovesi) avrebbe dovuto svolgere un attacco di diversione sulla
sinistra, la seconda colonna del capitano Carlo
De Cristoforis, con un'altra compagnia, avrebbe condotto un attacco
frontale, la terza colonna del capitano Vacchieri sulla destra, avrebbe dovuto
minacciare la ritirata avversaria.
La compagnia di De
Cristoforis doveva partire al segnale della "fucilata" sparata dal
gruppo Cenni, con un attacco di sorpresa, ma l'inizio prematuro del fuoco da
parte di alcuni volontari (ovvero da alcuni austriaci, a seconda delle
versioni) fece mancare l'effetto.
De
Cristoforis, credendo che quei colpi di fucile fossero il segnale
per partire all'attacco, alle 16:00 uscì allo scoperto sullo stradone e venne
preso di mira dai nemici appostati sul campanile di San
Fermo. Un forte fuoco di fucileria lo costrinse a ripararsi in una
cascina, il casale Valdomo.
Allora Medici comandò alla
sinistra di appoggiare l'attacco e comandò un'ulteriore compagnia sulla destra.
Con i difensori presi da tre lati, le due compagnie di De
Cristoforisripartirono in un assalto alla baionetta.
La motivazione dei
volontari doveva essere davvero grande se, colpito da una fucilata mortale il
comandante De Cristoforis, essi proseguirono la corsa guidati dal tenente Guerzoni e
conquistarono la posizione.
Il ripiegamento
austriaco venne inseguito, per un tratto, dalle truppe vittoriose. Allora Garibaldi ispezionò le
strade verso la città (la Valfresca e Cardano) e venne a sapere da un contadino di
Cavallasca, Agostino Marzorati, che tornava da Como, lo stanziamento delle
truppe austriache in città.
Erano circa duemila e, il contadino aggiunse, "stavano cuocendo le
vivande".
Garibaldi fece
allora occupare le alture verso Como in vista della città: nel tardo pomeriggio
gli austriaci, finalmente informati degli avvenimenti, presero a risalire per
Cardano e la Valfresca. Si tratta di strade ripide e dominate da una serie di
scoscese montagnole: i garibaldini ben appostati li bersagliarono per poi a
poco a poco scendere baionetta alla mano e rimandare gli assalitori giù per le
colline.
Alle 21:30 Garibaldi entrava
in città dall'allora Porta Sala, oggi Via Garibaldi, mentre gli austriaci uscivano
da Porta
Torre, e ripiegavano su Monza, lasciando bagagli, magazzini e
prigionieri nelle mani dei Cacciatori. Urban, infatti, non poteva contare sulla
fedeltà della popolazione (che appena undici anni prima si era resa
protagonista delle Cinque Giornate di Como) e, da buon soldato
regolare, desiderava ottenere cospicui rinforzi prima di riprendere Como e la più piccola Varese.
Occupata Como,
Garibaldi richiamò le cinque compagnie da San
Fermo e fece occupare Camerlata, al passo meridionale della
città verso Monza e Milano, per garantirsi da eventuali contrattacchi.
Gli austriaci
registrarono 68 morti e 264 feriti. I Cacciatori 13
morti (di cui 3 ufficiali: De
Cristoforis, Pedotti e Cartellieri)
e 60 feriti. Nessun garibaldino rimase prigioniero.
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