quarta-feira, 30 de janeiro de 2019

Episódio dos Cinco Dias, Milão, Itália (Episodio delle Cinque Giornate) - Baldassare Verazzi

Episódio dos Cinco Dias, Milão, Itália (Episodio delle Cinque Giornate) - Baldassare Verazzi
Milão - Itália
Museu do Risorgimento Milão
OST


18-23 marzo 1848
Un’insurrezione a Milano libera la città, allora parte del Regno Lombardo-Veneto, dal dominio austriaco.
L’iniziativa dei milanesi si inserisce nel quadro più ampio dei moti liberal-nazionali europei del 1848-1849, al culmine della tensione con gli occupanti austriaci, che già aveva fatto registrare scontri come quelli avvenuti in occasione dello sciopero del tabacco nel gennaio 1948. La scintilla fu data da una manifestazione pacifica, organizzata il 17 marzo dai cittadini per chiedere maggiore autonomia per Milano e la Lombardia dopo che era giunta la notizia delle dimissioni di Metternich a seguito di un’insurrezione popolare a Vienna. Il giorno successivo la manifestazione si trasformò in un assalto che prese alla sprovvista le unità austriache presenti in città.
I rivoltosi riuscirono a mettere in fuga gli occupanti e istituirono un Governo provvisorio guidato da Gabrio Casati. La minaccia di una controffensiva austriaca e le divisioni interne al Consiglio di guerra portarono alla decisione di richiedere l’intervento militare del Regno di Sardegna: il 23 marzo le truppe piemontesi varcarono il Ticino e mossero verso Milano, dando il via alla Prima guerra di indipendenza.
Tuttavia, la lentezza dell’esercito di Carlo Alberto e i nuovi rinforzi giunti agli austriaci volsero ben presto la situazione a favore di questi ultimi. Sconfitto nella prima battaglia di Custoza, il 5 agosto il Re sabaudo firmò la capitolazione e il giorno seguente gli austriaci rientrarono a Milano.

Esattamente centosettanta anni fa, il 17 marzo 1848 Milano era in subbuglio. Proprio quel giorno erano giunte in città due notizie, l’una più pazzesca dell’altra: i veneziani si erano sollevati contro la guarnigione austriaca guidati da Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, proclamando la nascita della Repubblica di San Marco. La ribellione a sua volta era stata suscitata dalla notizia dei moti di Vienna che avevano portato alle dimissioni dell’ottantenne cancelliere Metternich, regista della Restaurazione post napoleonica al potere da quarant’anni. Tutto l’impero austriaco era in fermento perché anche Boemia e Ungheria si erano sollevate contro il dominio asburgico. Sembrava che tutta l’Europa fosse stata incendiata dalla rivoluzione dopo che il mese precedente a Parigi la folla aveva costretto all’abdicazione re Luigi Filippo.
Si capisce bene come notizie tanto sconvolgenti una volta giunte sotto la Madonnina avessero agitato le autorità austriache e infiammato nel contempo gli animi dei patrioti milanesi che speravano di scrollarsi di dosso il giogo di Vienna. Ma come si presentava Milano a metà del XIX secolo? Tanto per cominciare molto più piccola della metropoli che conosciamo: la città, in quel momento capitale del Lombardo-Veneto, contava circa 200 mila abitanti, stretti nella cerchia delle vecchie mura spagnole e dei navigli.
L’insofferenza al dominio austriaco che, eccezion fatta per la parentesi napoleonica, durava ininterrottamente dal 1714, si era manifestata già verso la fine dell’anno prima, nel 1847: allora i milanesi avevano inscenato un vero e proprio sciopero, astenendosi dal tabacco e dal gioco del lotto, che costituivano due fonti d’entrata importanti per l’amministrazione asburgica. Nel gennaio del 1848 le manifestazioni di ostilità della cittadinanza verso quelli che ormai erano percepiti come gli “austriaci oppressori” erano state brutalmente represse dalla polizia che aveva lasciato sul selciato morti e feriti. Insomma, il rapporto tra governanti e governati era ormai giunto a un punto di rottura.
In questo clima che nonostante la stagione possiamo definire incandescente, il 18 marzo una grande folla si raccolse tra la chiesa di San Carlo, lungo Corsia dei Servi (oggi corso Vittorio Emanuele) e Piazza San Babila. I dimostranti chiedevano a gran voce la fine della repressione poliziesca, la concessione della piena libertà di stampa oltre all’istituzione di una guardia civica. Di fronte a una folla che gridava sempre più forte “Abbasso la polizia! Vogliamo la guardia civica” per tentare di placare gli animi il conte Heinrich O’Donell, vice dell’assente governatore Spaur, fu in pratica costretto a firmare una serie di decreti con i quali veniva incontro alle richieste della cittadinanza ma ormai era troppo tardi: non sappiamo se per iniziativa dei milanesi o a causa dei soldati imperiali che reagirono sparando a qualche provocazione, fatto sta che scoppiarono tafferugli in tutta Milano.
La sollevazione spontanea della città aveva colto di sorpresa il comandante della guarnigione, il maresciallo Radetzky, il quale fu costretto a chiudersi nel Castello Sforzesco, sede del comando cittadino. Da qui fece sparare colpi a salve dai cannoni per chiamare rinforzi.
Per resistere alle forze austriache i milanesi innalzarono nottetempo 1700 barricate, oltre a inviare messaggi agli abitanti della campagna circostante perché accorressero in città a dare manforte alla loro causa. Per cercare di risolvere il problema della carenza di armi gli insorti arrivarono a saccheggiare i persino musei, tra i quali la collezione di armi antiche dell’Uboldo, asportandone spade e alabarde. A conti fatti però, i milanesi disponevano in tutto solamente di quattrocento fucili da caccia, alcune vecchie pistole oltre alle armi bianche. Praticamente bazzecole in confronto alle forze di cui disponeva Radetzky, il quale, pur isolato nel Castello, contava ai suoi ordini circa 14 mila uomini armati fino ai denti oltre a duecento cannoni.
Nonostante l’evidente inferiorità però gli insorti dimostrarono grande tenacia e coraggio sfidando il fuoco dei terribili tiratori croati: “I gioven de Milan/ han cumincia’ la guera/ col fazulet in man” cantavano i ragazzi sulle barricate mentre le pallottole austriache fischiavano tutto intorno a loro. Intanto i bambini dell’orfanotrofio, i piccoli “martinitt” assicuravano i collegamenti fra i vari quartieri fungendo da staffette portaordini.
Per coordinare le azioni di guerriglia fu istituito il giorno 20 marzo un vero e proprio consiglio di guerra composto da Enrico Cernuschi, Giorgio Clerici, Giulio Terzaghi e presieduto da Carlo Cattaneo. Ad esso si contrappose sin dalla sua creazione il governo provvisorio del podestà conte Gabrio Casati, istituito tra il 21 e il 22 marzo.
I combattimenti cessarono il 22 dopo cinque durissimi giorni di scontri che lasciarono sul terreno alcune centinaia di morti per parte. Quel giorno, dopo i falliti assalti alle posizioni austriache di Porta Comasina e di Porta Ticinese fu infine conquistata Porta Tosa (poi non a caso ribattezzata Porta Vittoria). L’azione fu resa possibile grazie a un’intuizione dell’ex ufficiale napoleonico Antonio Carnevali che ideò un ingegnoso sistema di barricate mobili che consentirono ai milanesi di avvicinarsi alle posizioni austriache al riparo dal fuoco nemico.
I milanesi erano così riusciti a spezzare l’assedio consentendo l’ingresso in città alle colonne di volontari provenienti dalla Valtellina e dalla Brianza. A quel punto, per evitare di essere preso fra due fuochi, il maresciallo Radetzky preferì ritirarsi con le sue truppe nel munitissimo “Quadrilatero” formato dalle fortezze di Mantova, Legnago, Peschiera e Verona.
La situazione dell’esercito austriaco in terra italiana si faceva del resto sempre più drammatica: una ad una, seguendo l’esempio di Milano,  tutte le città della Lombardia erano insorte o si stavano preparando a farlo. Altro motivo di preoccupazione per Radetzky era costituito dalla mobilitazione dell’esercito piemontese che con alla testa Re Carlo Alberto di Savoia  si era accampato a Novara e da lì si preparava a marciare su Milano per dar man forte ai patrioti lombardi.
L’intervento piemontese era fortemente sponsorizzato dall’ala moderata del movimento patriottico lombardo, guidato da Casati. I moderati, tutti di estrazione aristocratica e borghese, nutrivano forti sospetti nei confronti delle barricate, sulle quali il grido “morte all’Austria”  si alternava a quello più preoccupante di “morte ai sciuri” (“signori” in milanese). Per costoro solo la vittoria dell’esercito piemontese in una campagna militare avrebbe potuto assicurare la libertà di Milano e della Lombardia. Di diverso avviso era l’elemento mazziniano, rappresentato da personaggi come Luciano Manara e i fratelli Enrico ed Emilio Dandolo, schierati su posizioni repubblicane. Contrario all’intervento sabaudo era anche Carlo Cattaneo, repubblicano di orientamento federalista, per il quale affidare le sorti della Lombardia a un Piemonte da lui ritenuto più arretrato dell’Austria sarebbe equivalso ad un tradimento della rivoluzione.
Tra le varie anime della rivoluzione milanese, prevalse, sempre in contrasto con quella di Cattaneo, la linea di Casati che era poi quella moderata favorevole ad un intervento del re di Sardegna. I piemontesi passarono il Ticino il giorno 23 marzo 1848, dando il via a quella che è ricordata come la prima guerra d’indipendenza italiana. Come poi sia andata a finire è cosa a noi nota fin dai tempi della scuola: l’esercito sabaudo sarà sconfitto pesantemente a Custoza e poi a Novara il che porterà all’abdicazione di Carlo Alberto in favore del figlio Vittorio Emanuele.
La Lombardia tornerà saldamente in mano austriaca ma nonostante il fallimento è ugualmente doveroso ricordare le Cinque Giornate di Milano per un fatto di importanza capitale: Per la prima volta le masse popolari prendevano parte attiva al processo risorgimentale. Sarà però purtroppo anche l’ultima.

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