Teano - Itália
Museu de Capodimonte Nápoles
OST - 1878
Dopo la sconfitta
dell’esercito pontificio a Castelfidardo e la presa di Ancona, Vittorio
Emanuele II assunse il comando supremo delle forze militari sarde, il 3
ottobre, e, con al fianco il ministro dell’Interno Luigi Carlo Farini e il
ministro della Guerra Manfredo Fanti, varcò i confini del Regno borbonico il 10
ottobre 1860.
L’esercito
sabaudo avanzò lungo la costa adriatica e si diresse verso la Terra di Lavoro,
dove erano stati inviati, per ostacolare l’avanzata piemontese, un migliaio di
soldati borbonici, comandati dal generale Luigi Scotti-Douglas, supportati
anche da alcune migliaia di contadini insorti, le cui ribellioni, ormai, si
stavano diffondendo sempre più nel Molise, nell’Abruzzo e nel Sannio.
Il 17
ottobre, infatti, una colonna di circa 1.200 volontari comandata da Francesco
Nullo, partita da Maddaloni per ristabilire l’ordine, venne attaccata e
sconfitta, fra le gole di Pettorano e Castelpetroso, vicino Isernia, da alcuni
reparti borbonici affiancati da migliaia di contadini insorti.
Tre
giorni dopo, però, il 20 ottobre, le truppe sabaude comandate dal generale
Cialdini sconfissero i borbonici e le bande contadine al passo del Macerone ed
occuparono Isernia. Nei giorni successivi l’esercito piemontese occupò Venafro
e si diresse verso Capua mentre le truppe borboniche, temendo di essere
accerchiate, si ritirarono verso il fiume Garigliano lasciando soltanto una
guarnigione a Capua.
La
ritirata dei borbonici permise a Garibaldi, con i suoi uomini, di passare il
Volturno il 25 ottobre e di avanzare verso Teano per incontrare l’esercito
piemontese.
Il
generale, che veniva da Caiazzo, e Vittorio Emanuele II, che veniva da Venafro,
si incontrarono, la mattina del 26 ottobre 1860, lungo la strada che porta a
Teano, al quadrivio di Taverna della Catena, presso Vairano, nel punto dove si
incontrano le strade di Cassino-Calvi e Venafro-Teano.
Dopo
aver cavalcato insieme per alcuni chilometri, scesero da cavallo, probabilmente
nei pressi del ponte di Caianello, e continuarono la loro conversazione seguiti
dai loro ufficiali. Poi ripresero a cavalcare e arrivarono a Teano dove il re
si diresse verso Palazzo Caracciolo mentre Garibaldi si avviò in una stalla ai
margini del paese.
Vittorio
Emanuele II, nel colloquio con Garibaldi sulla strada per Teano, gli comunicò
che le operazioni militari, da quel momento, sarebbero state condotte
dall’esercito regio e che avrebbe concesso ai volontari di essere soltanto la
riserva delle truppe che combattevano sul Volturno.
Per i liberali, Cavour in
testa, era fondamentale dimostrare alle diplomazie europee che l’avventura
rivoluzionaria era finita e che l’ordine politico-sociale veniva garantito da
una monarchia che metteva fine alla dittatura garibaldina e si poneva come argine
per l’invasione dello Stato pontificio e di Roma.
L’intransigenza
sabauda, probabilmente, era il pegno che andava pagato nei confronti delle
diplomazie europee che vedevano nella formazione dello Stato nazionale italiano
un pericoloso sovvertimento dell’assetto internazionale elaborato dal Congresso
di Vienna.
L’incontro
tra il re Vittorio Emanuele II e Garibaldi, che una retorica celebrativa ha
spesso rappresentato come il risultato della concordia tra le differenti forze
politiche che concorsero all’Unità d’Italia, significò, piuttosto, il
definitivo passaggio della leadership del
processo di unificazione nazionale dai democratici ai liberali.
D’altronde
il rapporto di forze tra i mazziniani e i garibaldini, da un lato, e il
“partito” liberal-monarchico, dall’altro, era già stato profondamente
modificato con l’indizione dei plebisciti che, il 21 ottobre, avevano
certificato l’annessione del Mezzogiorno continentale e della Sicilia al Regno
sabaudo.
Lo
svolgimento dei plebisciti, infatti, ponendo fine alle forti tensioni che, sin
dal mese di giugno, avevano contrapposto i fautori dell’annessione dei
territori conquistati, come il marchese Giorgio Pallavicino, ai sostenitori
dell’Assemblea costituente aveva di fatto sanzionato la vittoria e l’egemonia
moderata sul processo di unità nazionale.
D’altro canto, l’evoluzione
dei combattimenti sul Volturno aveva già fatto comprendere a Garibaldi dell’assoluta
necessità, per le sorti della campagna militare, dei battaglioni sardi. E
infatti, la sua prima richiesta a Vittorio Emanuele II, non appena il re varcò
il Tronto, consistette nel riconoscimento dei gradi per i suoi ufficiali.
Inoltre,
Garibaldi era ben consapevole, che lo svolgimento dei plebisciti il 21 ottobre
aveva segnato non solo la sconfitta di coloro che volevano l’Assemblea
costituente, ma anche dei mazziniani più intransigenti che volevano portare la
rivoluzione nello Stato pontificio per andare alla conquista di Roma.
I
margini di iniziativa per Garibaldi, una volta esclusa ogni ipotesi di
conflitto fratricida con le truppe regie, si erano dunque ridotti soltanto
all’attesa di Vittorio Emanuele II e dell’esercito piemontese. L’incontro tra il
“duce dei Mille” e il re sabaudo sancì, però, anche l’inizio di quel processo
di emarginazione dei garibaldini dalla scena politica e militare nazionale che
caratterizzò gli anni successivi l’Unità d’Italia.
Nel
volgere di poco tempo – anche se i volontari collaborarono alla presa di Capua
sotto il comando del Generale Enrico Morozzo Della Rocca – l’Esercito
meridionale garibaldino venne sciolto aprendo un lungo periodo di polemiche e
di contrasti politici.
L'incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II, o incontro di Teano, avvenne il 26
ottobre del 1860 ed è l'episodio della storia risorgimentale con il quale si concluse la spedizione dei Mille.
Il re di Sardegna Vittorio Emanuele II aveva
occupato i territori pontifici nelle Marche e nell'Umbria ed era andato incontro a Giuseppe Garibaldi, che
aveva respinto il tentativo di controffensiva dell'esercito borbonico
nella battaglia del Volturno e
aveva completato la conquista del Regno delle Due Sicilie.
L'intervento piemontese, sotto il profilo
internazionale, aveva lo scopo di impedire che la spedizione continuasse fino
alla conquista di Roma, che avrebbe provocato l'intervento di Napoleone III e messo a repentaglio le conquiste
effettuate.
Sotto il profilo interno, la questione delle
ricadute politiche della spedizione era già stata affacciata nella lettera con
cui, nel settembre 1860, Vittorio Emanuele II aveva respinto l'invito dell'Eroe
dei due mondi di "licenziare il Ministero" congedando Cavour e Farini.
L'incontro avvenne
una mattina autunnale molto umida e Garibaldi aveva la testa fasciata alla
buona con un fazzoletto colorato e assisteva al passaggio delle truppe
piemontesi, quando ad un certo momento si sentì suonare la marcia reale e
gridare le parole "Il re! Viene il re!".
Garibaldi ed il
suo seguito montarono a cavallo avanzando sul fianco della strada e alla loro
vista Vittorio Emanuele II si slanciò per incontrarli, quindi Garibaldi si
scoprì la testa fasciata gridando:
«Saluto il primo Re d'Italia ! »
Il re allungò la mano e Garibaldi fece altrettanto stringendola, i due uomini restarono con le mani unite per più di un minuto. « Come state, caro Garibaldi? » « Bene, Maestà, e Lei? » « Benone.» |
(Garibaldi e la
formazione dell'italia, G.M. Trevelyan, pagg. 341-342)
|
Poi i due gruppi
di piemontesi e garibaldini procedettero assieme per un certo tratto dialogando
in fredda cortesia, quando Garibaldi ed i suoi svoltarono a sinistra ritornando
a Calvi, mentre il re proseguiva per Teano.
«Donato il regno al sopraggiunto re, / ora
sen torna al sasso di Caprera / il Dittatore. Fece quel che poté. / E seco
porta un sacco di semente.»
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Garibaldi ottenne
che i volontari garibaldini entrassero, dopo una selezione, nell'esercito
regolare sardo, con il medesimo grado rivestito nella spedizione e si ritirò
a Caprera.
L'incontro ebbe il
significato di un'adesione del generale alla politica di Casa Savoia, deludendo le aspettative di coloro che
auspicavano la fondazione di una repubblica meridionale di stampo mazziniano, che avrebbe dovuto in seguito estendersi anche ai
domini papali, conquistando Roma.
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