Novara - Itália
Museu Nacional do Risorgimento Italiano Turim
OST
La battaglia di Novara (23
marzo 1849) fu lo scontro
decisivo della Prima guerra d'indipendenza italiana durante
il Risorgimento e
si concluse con la completa vittoria dell'esercito
austriaco guidato dal maresciallo Josef Radetzky contro
l'armata piemontesecomandata
dal generale polacco Wojciech
Chrzanowski. È conosciuta anche come battaglia della Bicocca, dal nome del sobborgo sud-est di Novara,
dove si combatterono gli scontri più importanti.
La battaglia
fu combattuta al termine della breve seconda fase della guerra; la campagna fu
caratterizzata inizialmente dall'offensiva austriaca a sorpresa attraverso
il Ticino e
dalla sconfitta piemontese nella battaglia
di Mortara. L'esercito piemontese, dopo questi insuccessi, fu quindi
concentrato a Novara dove venne
attaccato il 23 marzo 1849 solo da una parte dell'esercito austriaco. A causa
dell'indecisione e di gravi errori del comando dell'esercito piemontese, il
maresciallo Radetzky ebbe il tempo di concentrare progressivamente tutte le sue
forze a Novara e, disponendo di una chiara superiorità numerica locale, poté
sconfiggere e costringere alla capitolazione l'armata avversaria.
Nella notte
stessa della battaglia il re di Sardegna Carlo
Alberto, presente sul campo, decise di abdicare e fu il figlio Vittorio
Emanuele II a concludere il 24 marzo 1849 un armistizio
definitivo con il maresciallo Radetzky.
Ogni anno la
città di Novara celebra la rievocazione storica in costume della battaglia.
Il 9
agosto 1848 era stato
concluso il cosiddetto armistizio
di Salasco che metteva fine temporaneamente alle ostilità tra
il Regno
di Sardegna e l'Impero d'Austria culminate
con la vittoria austriaca nella battaglia di Custoza; in realtà il documento stabiliva solo
una tregua di sei settimane; in mancanza di novità politiche, grazie ad una
possible mediazione franco-britannica, la guerra sarebbe teoricamente ripresa a
partire dal 21 settembre. Ancor prima dell'armistizio si era dimesso il governo
di Torino presieduto
da Gabrio
Casati e il re Carlo Alberto, nel tentativo di comprimere il
crescente movimento democratico popolare, aveva nominato a camere chiuse un
nuovo governo, guidato da Cesare Alfieri, per mettere
sotto il controllo della parte conservatrice le istanze nazionali e i progetti
di una ripresa della guerra contro l'Austria. Nuovo ministro della guerra,
incaricato di riorganizzare l'esercito, venne nominato prima il generale Antonio Franzini e
quindi il generale Giuseppe
Dabormida.
In contrasto con i proposti conservatori di Carlo Alberto e del nuovo
governo e con i loro limitati obiettivi politico-diplomatici, le correnti
democratiche promuovevano invece più ambiziosi programmi di sollevazione
popolare nelle varie regioni della penisola, di ripresa della guerra per
ottenere la rivicita sull'Austria e di costituzione di una "confederazione
italiana". In dicembre la parte democratica sembrò prevalere a Torino, il
governo Alfieri cadde e Vincenzo Gioberti assunse la guida di un nuovo esecutivo costituito
con la partecipazione di importanti esponenti democratici. Nel frattempo la
guerra non era ripresa alla scadenza dell'armistizio per la necessità
dell'esercito piemontese di riorganizzarsi e soprattutto per le vicende
generali dell'Impero austriaco che avevano distolto l'attenzione del
cancelliere Felix Schwarzenberg dallo scacchiere
italiano, nonostante le proposte aggressive del maresciallo Josef Radetzky, comandante supremo nel Lombardo-Veneto. Il 6 ottobre 1848 era esplosa una nuova sollevazione
rivoluzionaria a Vienna, l'Ungheria era in rivolta, disordini erano scoppiati in Croazia e Boemia, l'imperatore Ferdinando I aveva dovuto ritirarsi
a Olmütz e cedere il trono al giovanissimo nipote Francesco Giuseppe.
In Piemonte
era in corso una complessa riorganizzazione dell'esercito, guidata prima dal
generale Dabormida e poi dal 27 ottobre dal nuovo ministro della Guerra,
generale Alfonso
La Marmora, e infuriava un'accesa polemica tra le autorità militari
e politiche riguardo alle responsabilità della disfatta e al problema del
comando supremo, contrasti che coinvolgevano anche Carlo Alberto. Dopo la
destituzione dei generali Ettore De Sonnaz e Carlo
Canera di Salasco, il generale Eusebio Bava, nominato in
un primo tempo generale in capo dell'esercito, era stato a sua volta al centro
di violenti contrasti a causa di un suo memoriale in cui criticava pesantemente
l'apparato militare ed in parte anche il re. Quest'ultimo era deciso peraltro a
mantenere il comando supremo e il governo propose quindi di affiancare al
sovrano un capo di stato maggiore con pieni poteri proveniente dall'estero.
Dopo l'impossibilità di chiamare a Torino per assumere l'incarico i generali
francesi Thomas
Robert Bugeaud, Nicolas
Changarnier e Marie-Alphonse Bedeau, venne deciso di
proporre la nomina al generale polacco Wojciech
Chrzanowski, veterano delle guerre
napoleoniche e ritenuto un tecnico esperto e preparato. In
realtà questo generale, fisicamente poco prestante, non conosceva la situazione
italiana, non parlava la lingua e mancava delle doti del condottiero.
Il programma
di riorganizzazione dell'esercito piemontese procedeva con molta difficoltà; il
generale Dabormida e poi il generale La Marmora si impegnarono a lungo per
modificare il reclutamento, eliminando le classi di uomini più anziani e
cercando di migliorare la qualità delle reclute. Sforzi furono fatti per
migliorare l'equipaggiamento e l'armamento individuale; inefficaci invece
furono i tentativi di accrescere le capacità logistiche e l'efficienza dei
servizi sanitari; i quadri ufficiali rimasero insufficienti numericamente e non
adeguatamente preparati. La struttura del comando superiore venne migliorata,
ma alcune scelte rimasero legate ad interferenze politiche con scadimento della
qualità; carenze di fondi impedirono di raggiungere maggiori risultati, mentre
tra i soldati il morale non era molto elevato, a causa soprattutto di disagi
logistici e carenze di mezzi. La consistenza numerica dell'esercito non era
stata accresciuta e dei circa 150.000 uomini alle armi, le forze realmente
impiegabili nella guerra contavano meno di 80.000 soldati.
Ritenendo
indispensabile affrettare i tempi per risparmiare risorse finanziarie, salvaguardare
la disciplina nell'esercito e anticipare sommovimenti democratici
rivoluzionari, il re e i dirigenti politico-militari piemontesi presero infine
la decisione, durante il consiglio dei ministri del 7 febbraio 1849, di
riprendere le ostilità. Venne definitivamente deciso di nominare il generale
Chrzanowski "generale maggiore dell'esercito", comandante effettivo
"sotto la propria responsabilità, a nome del re", che tuttavia
all'apertura della guerra sarebbe tornato "alla testa delle truppe";
il generale Alessandro
La Marmora divenne il capo di stato maggiore. Nel mese di
febbraio si verificarono nuovi sconvolgimenti nell'assetto amministrativo del
Regno di Sardegna; il ministro della guerra Alfonso La Marmora si dimise il 9
febbraio e venne sostituito dal generale Agostino Chiodo che il
21 febbraio divenne anche Presidente del Consiglio di un nuovo governo dopo le
dimissioni di Gioberti.
Dopo un'ultima
serie di indecisioni e di contrasti sulla data di denuncia dell'armistizio che,
secondo le clausole stabilite, avrebbe preceduto di otto giorni la ripresa
effettiva della guerra, il maggiore Raffaele Cadorna il 9 marzo venne inviato dal governo
piemontese a Milano per notificare
l'atto formale al maresciallo Radetzky. Il comandante in capo austriaco e il
suo capo di stato maggiore, generale Heinrich von Hess, si
mostrarono soddisfatti della notizia; da molti mesi auspicavano una ripresa
delle ostilità ed erano pienamente fiduciosi di poter infliggere una decisiva
sconfitta al Regno di Sardegna. L'armistizio venne denunciato ufficialmente il
12 marzo 1849 con ripresa della guerra a partire dal 20 marzo, mentre nella
capitale lombarda reparti austriaci sfilavano minacciosi in parata al suono di
bellicose marce militari.
Nonostante le carenze organizzative e materiali dell'esercito piemontese
e la sua inferiorità numerica, la dirigenza politico-militare del Regno aveva
deciso in teoria di adottare una strategia offensiva, sferrare un attacco nel
Lombardo-Veneto e suscitare una nuova insurrezione della popolazione. Si
sperava inoltre che l'esercito austriaco, minacciato dall'insurrezione e
indebolito dalle difficoltà dell'Impero, impegnato contemporaneamente a sedare
la rivolta ungherese e i disordini in Boemia, avrebbe preferito ripiegare inizialmente fino all'Adda o forse fino al Quadrilatero. Il nuovo comandante dell'esercito, il generale
Wojciech Chrzanowski, incerto e indeciso, avrebbe preferito adottare una
strategia di attesa e logoramento, senza impegnarsi subito in una battaglia
decisiva. In un secondo tempo invece sembrò convinto che i nemici
verosimilmente si sarebbero ritirati senza combattere dalla linea del Ticino e ipotizzò un'avanzata da Novara verso Milano per ottenere un prestigioso successo
iniziale.
Pochi giorni
prima dell'inizio della campagna il generale Chrzanowski ritornò ai suoi
prudenti progetti difensivi; egli previde la possibilità che gli austriaci
attraversassero il Ticino a Pavia e
marciassero su Mortara,
per contrastare questa manovra la divisione lombarda del generale Gerolamo Ramorino sarebbe
rimasta a La Cava e,
dopo aver avvertito il comando supremo, avrebbe ripiegato verso nord per
ricongiungersi con il grosso dell'esercito. I piani del generale polacco
prevedevano di schierare tre divisioni tra Galliate e Cassolnovo e due
divisioni tra Novara e Vespolate;
in caso di avanzata austriaca da sud, i piemontesi avrebbero deviato sulla
destra e occupato Vigevano e
Mortara. Se il maresciallo Radetzky avesse attaccato frontalmente Mortara, i
piemontesi avrebbero potuto contrattaccare sul suo fianco destro da Vigevano e
tagliarlo fuori dal Ticino costringendolo a ritirarsi verso la sua base di
operazioni di Pavia.
In realtà
ancora il mattino 20 marzo 1849 il generale polacco, in una lettera inviata al
ministro della Guerra a Torino, ritenne poco probabile un'offensiva austriaca
da Pavia, nonostante le notizie ricevute di un forte concentramento nemico in
quel settore; egli sembra che avesse adottato il piano di raggruppamento a
Novara, in teoria pericoloso in quanto scopriva le direttrici strategiche
principali Alessandria-Pavia
e Alessandria-Piacenza, anche per ragioni
politiche, sollecitato dal re a raggiungere un successo di prestigio con
l'entrata vittoriosa di Carlo Alberto a Milano dopo la prevista ritirata
austriaca sull'Adda.
Inoltre lo
schieramento adottato dal generale Chrzanowski disperdeva l'esercito su un'area
troppo estesa e lo esponeva ad essere sopraffatto, prima di aver completato il
raggruppamento, da una offensiva da parte di un nemico dotato di un esercito
più esperto, meglio organizzato e più mobile. I piani del comando dell'esercito
piemontese prevedevano di concentrare cinque divisioni nell'area di Novara,
mentre sul fianco sinistro nel settore tra il lago Maggiore e le
sorgenti del Ticino era attestata la Brigata Solaroli con 5.000 uomini,
collegati con la massa principale solo da quattro battaglioni di reclute. Sul
lato destro, tra Alessandria e Voghera, era schierata la
divisione lombarda del generale Ramorino con 6.500 soldati e 16 cannoni;
sull'estremo fianco destro erano posizionate invece, verso Piacenza, la brigata
d'avanguardia con 3.600 uomini ed a Sarzana e Parma la 6ª Divisione del generale
Alfonso La Marmora. Questa disposizione operativa scaglionava l'esercito
piemontese su settanta chilometri lungo il Ticino e si estendeva su oltre
duecento chilometri considerando anche i gruppi distaccati sul fianco destro;
oltre 26.000 soldati erano impegnati quindi in compiti secondari sui fianchi
del raggruppamento principale e, nonostante le disponibilità di strade di
arroccamento, le carenze di mobilità e di organizzazione logistica avrebbero
intralciato i movimenti dell'armata, mentre gli austriaci avrebbero sfruttato
queste debolezze per concentrare le loro forze nel punto debole del fronte.
In realtà il
maresciallo Josef Radetzky, che aveva deciso di passare subito all'offensiva,
manovrò abilmente i suoi corpi in modo da mascherare fino all'ultimo il suo
piano di operazioni; il 12 marzo il comandante austriaco diramò una prima
direttiva di concentrazione delle sue truppe che entro il 18 marzo furono
raggruppate a sud di Milano, tra il Ticino, l'Adda e il Po, nell'area compresa tra Binasco, Corteolona, Codogno e Melegnano. Solo una brigata
venne lasciata nel Varesotto e
altre due furono distese a copertura lungo il Ticino. La dislocazione delle
truppe decisa dal maresciallo Radetzky consentiva di concentrare una grande
massa di forze in un'area ristretta pronta potenzialmente sia a ripiegare
dietro l'Adda, sia ad attaccare lungo il Po tra Pavia e Piacenza, sia a
sferrare l'offensiva a Pavia attraverso il Ticino. La mattina del 18 marzo il
maresciallo partì da Milano e, giunto a Melegnano, deviò con il suo stato
maggiore verso ovest; egli raggiunse il 19 marzo Torre Bianca a sei
chilometri da Pavia e assunse il comando dell'armata.
Durante la
notte il maresciallo diramò gli ordini definitivi ed ebbe inizio il
concentramento generale dei cinque corpi d'armata dell'esercito austriaco nel
settore di Pavia, dove avrebbero dovuto portarsi anche le tre brigate
distaccate; lungo il Ticino sarebbero rimasti solo un battaglione e due
squadroni di cavalleria. Entro il mattino del 20 marzo il II corpo d'armata del
generale Konstantin
d'Aspre raggiunse Pavia, mentre altri tre corpi si schierarono
a nord e a est; questo potente raggruppamento si trovava in posizione per
sferrare un attacco attraverso il Ticino oppure avrebbe potuto attraversare il
Po a Stradella; in questo modo
il maresciallo Radetzky conservava la coesione delle sue forze e manteneva
nell'incertezza i comandanti piemontesi riguardo alle sue reali intenzioni
operative.
La difesa del settore della Cava che sbarrava la testa di ponte
austriaca sul Ticino a Pavia, era stato affidato dal comando dell'esercito
piemontese al generale Ramorino con la sua divisione lombarda che inizialmente
era stata schierata tra Alessandria, Voghera e Tortona; tuttavia, nonostante un ordine diretto del 16 marzo,
il generale aveva lasciato a difesa di questa zona solo tre battaglioni di
fanteria e il battaglione bersaglieri di Luciano Manara. Durante un incontro, insieme con il colonnello
Berchet e il generale Manfredo Fanti, con il generale Chrzanowski nello stesso giorno, al
generale Ramorino era stato chiarita l'importanza della sua missione di coprire
il Ticino tra Bereguardo e la confluenza con il Po, ed era stato anche
precisato che, in caso di pressione insostenibile del nemico, egli avrebbe
dovuto ripiegare con la sua divisione in direzione di Mortara per mantenere i
collegamenti con il grosso dell'armata e solo in situazione di emergenza poteva
ritirarsi verso il Po a Mezzana Corti, il cui ponte di barche avrebbe dovuto essere distrutto.
In realtà il
generale Ramorino riteneva invece secondaria una minaccia da Pavia oltre il
Ticino e il ramo secondario del Gravellone e,
considerando molto più pericolosa un'offensiva austriaca attraverso il Po
a Stradella, il 20 marzo
aveva schierato la sua divisione tra Casteggio, Barbianello e il fiume
per sbarrare le direttrici di Stradella e Mezzana Corti, mentre aveva lasciato
alla Cava solo una debole copertura affidata al comando del generale Giannotti
per ritardare una possibile manovra nemica oltre il Gravellone e poi ripiegare
a sua volta verso il Po, in contrasto con le disposizioni del comando supremo
che prescrivevano invece un ripiegamento verso Mortara.
L'offensiva
del maresciallo Radetzky ebbe inizio a mezzogiorno del 20 marzo; senza
impiegare l'artiglieria per mantenere la sorpresa, il II corpo d'armata del
generale Konstantin d'Aspre attraversò rapidamente il Gravellone; il reparto di
testa era costituito dalla divisione dell'arciduca
Alberto, che impegnò all'avanguardia i battaglioni di fanteria
ungherese e boema al comando dell'abile colonnello Ludwig
von Benedek e affrontò le due compagnie del battaglione di
Manara presenti sul posto. Dopo un'ora di combattimenti le due compagnie
guidate da Manara furono sopraffatte e, pressate da altri battaglioni
austriaci, ripiegarono a la Cava dove il generale Giannotti, presente sul
posto, cercò di resistere con l'intero battaglione. Le forze austriache erano
soverchianti, l'arciduca Alberto fece intervenire altre truppe che aggirarono
ai fianchi le difese nemiche e presero il sopravvento, costringendo il generale
Giannotti a retrocedere ancora fino a Mezzana Corti, dove venne rinforzato da
due battaglioni del 21º reggimento. Alle ore 18.00, con
l'intervento di altri cinque battaglioni appartenenti al IV corpo d'armata del
generale Georg von Thurn Valsassina,
gli austriaci conquistarono anche Mezzana Corti e il generale Giannotti si
ritirò dietro il Po. Il combattimento alla Cava era durato sei ore ed era
costato perdite modeste alle due parti ma gli austriaci avevano pienamente
raggiunto i loro obiettivi: la via verso Mortara era aperta ed indifesa, il fianco
sinistro era solidamente coperto e, con una serie di manovre di avvolgimento,
la divisione lombarda del generale Ramorino era stata facilmente rigettata dietro
il Po.
Durante la
giornata del 20 marzo, mentre gli austriaci facevano irruzione attraverso il
Ticino, sgominavano i deboli reparti della sua divisione presenti alla Cava e
avanzavano verso Mortara, il generale Ramorino aveva continuato a temere
soprattutto un attacco nemico a Stradella lungo il Po, in direzione di
Alessandria. Dopo le notizie giunte il primo pomeriggio sugli eventi in corso
sulla sinistra del fiume, il generale considerò l'attacco austriaco sul Ticino
solo una finta e disperse lungo il fronte le sue truppe; in serata ordinò al
generale Giannotti di ripiegare sulla destra del Po. Alle ore 21.00 infine
comunicò al generale Chrzanowski la notizia dello sfondamento nemico ma
insistette a ritenere che si trattasse di un "falso attacco" per
mascherare un'offensiva principale verso Stradella e Alessandria; in un ordine
al generale Giannotti previde ancora di concentrare le sue truppe a Casteggio per coprire
Alessandria.
Il generale
Chrzanowski aveva condotto durante la giornata del 20 marzo una ricognizione in
forze oltre il Ticino; mentre la 4ª Divisione del Duca di Genovasi era raggruppata vicino al
ponte della strada Novara-Milano, insieme alla 3ª Divisione del generale Ettore Perrone, la 2ª Divisione del generale Michele Bes era stata schierata sulla destra per
controllare il corso del fiume. Alle ore 13.30 la Brigata Piemonte e quindi il
resto della 4ª Divisione avevano attraversato, accompagnati personalmente dal
re, il ponte e si erano spinti fino a Magenta senza trovare
opposizione. In serata il re e il generale polacco, incerti e preoccupati,
erano ritornati a Trecate.
Non avendo inviato ufficiali di collegamento con il generale Ramorino, Carlo
Alberto e il generale Chrzanowski rimasero nell'incertezza sulla situazione
fino alle ore 20.00 quando finalmente arrivarono inquietanti notizie dal
tenente Casati che, recatosi alla Cava su iniziativa personale del generale
Bes, poté riferire che le difese nel settore erano limitatissime, che il grosso
della divisione lombarda era oltre il Po e che l'armata austriaca aveva
attraversato in massa il Ticino e il Gravellone ed era avanzata lungo la riva
destra raggiungendo Zerbolò.
Alle ore 20.30 il generale Chrzanowski prese alcune misure iniziali per
controllare la situazione, ma si mostrò ancora indeciso e scarsamente energico;
egli ritenne opportuno rinunciare all'avanzata a ovest del Ticino e ordinò alla
1ª Divisione del generale Giovanni Durando di marciare su Mortara, mentre il generale Bes avrebbe dovuto iniziare a
raggruppare la 2ª Divisione a Vigevano. Alle ore 22.00 giunse un rapporto del
generale Ramorino che tuttavia non risolse i dubbi del generale polacco; egli
destituì il comandante della divisione lombarda e mise al suo posto il generale
Fanti ma, apparentemente timoroso anch'egli di una possibile avanzata austriaca
verso Alessandria, non modificò lo schieramento della divisione a sud del Po.
Solo alle ore 3.00 del 21 marzo quando il generale Bes comunicò la presenza di
almeno 10.000 soldati austriaci a Garlasco, sedici chilometri a sud di Mortara, il generale
Chrzanowski decise finalmente di cambiare il suo schieramento e di inviare le
sue forze verso sud. La 2ª Divisione sarebbe stata rinforzata a Vigevano dalla
4ª Divisione del Duca di Genova, che avrebbe riattraversato subito il Ticino, e
dalla 3ª Divisione del generale Perrone; la 1ª Divisione del generale Durando
doveva raggiungere subito Mortara, seguita dalla Divisione di riserva del Duca di Savoia; la Brigata Solaroli
avrebbe coperto il ponte sul Ticino. Il comandante in capo sperava di poter
sbarrare con questo dispositivo la marcia del nemico su Mortara e di
minacciarlo sul fianco destro con le forze raggruppate a Vigevano. in realtà, a
causa di ritardi, di indecisioni e di ordini contraddittori, le divisioni
piemontesi non assunsero in tempo un solido schieramento, si limitarono alla
difesa e malamente collegate tra loro furono attaccate e sconfitte
separatamente dall'armata austriaca.
A partire
dalle ore 10.00 del mattino del 21 marzo il maresciallo Radetzky, dopo il
consolidamento delle posizioni nella testa di ponte e la ritirata oltre il Po
della divisione lombarda, riprese le operazioni dispiegando su largo fronte i
suoi corpi d'armata; il maresciallo assegnò al I corpo del generale Eugen Wratislaw il compito di marciare lungo la riva del
Ticino per coprire il fianco destro del grosso dell'armata e avanzare su Borgo San Siro e Gambolò. Al centro, lungo
la strada di Mortara, avanzò il II corpo del generale d'Aspre, seguito dalle
ore 11.00 dal III corpo del generale Christian
von Appel e dal I corpo di riserva del generale Gustav von Wocher; infine il fianco sinistro
del gruppo principale sarebbe stato coperto dall'avanzata del IV corpo del
generale von Thurn Valsassina.
L'armata
austriaca in avanzata entrò in contatto con le truppe piemontesi alle ore 11.00
quando l'avanguardia del I corpo del generale Watrislaw, in marcia di
fiancheggiamento sul lato destro dello schieramento del maresciallo Radetzky,
si scontrò con reparti in esplorazione inviati dal generale Bes, comandante
della 2ª Divisione, da Vigevano fino a Borgo San Siro, dieci chilometri più a
sud. Le deboli truppe piemontesi, sei compagnie e poco più di uno Squadrone
del Reggimento Piemonte Reale Cavalleria al
comando del colonnello Gabrielli di Montevecchio, erano in forte inferiorità
numerica; gli austriaci impegnarono infatti inizialmente oltre 2.000 soldati,
saliti a 6.500 nel corso dello scontro, ma i difensori opposero una forte
resistenza. I combattimenti si prolungarono per alcune ore, i piemontesi,
minacciati di aggiramento dalle crescenti truppe austriache, prima ripiegarono
coperti da diverse cariche di alleggerimento dalla cavalleria su Borgo San Siro
(erano infatti sopraggiunti altri due Squadroni del Piemonte Reale) e quindi,
dopo aver difeso aspramente la cittadina per altre due ore, si ritirarono con
ordine più a nord, abbandonando il villaggio e ritornando verso Vigevano senza
essere pressati da vicino dal nemico.
Nel frattempo
fin dalle ore 8.00 il generale Bes era arrivato a Vigevano con la 2ª Divisione
e aveva schierato le sue brigate nella posizione della Sforzesca, a tre chilometri
dalla città; alle ore 13.00 giunsero anche il re e il generale Chrzanowski che
dispose una serie di cambiamenti di schieramento, per concentrare l'intera
divisione del generale Bes alla Sforzesca e posizionare la 3ª Divisione del
generale Perrone sulla destra a Gambolò; queste manovre tuttavia provocarono
disordine e ritardi. L'avanguardia del I corpo d'armata austriaco del generale
Wratislaw, costituita da due battaglioni e due squadroni, quindi poté attaccare
solo una parte delle difese piemontesi preparate alla Sforzesca e, manovrando
per aggirare i fianchi, le mise in difficoltà; il generale Bes inviò
prontamente i rinforzi del 23º reggimento fanteria del
colonnello Enrico
Cialdini e gli austriaci vennero respinti. La cavalleria
piemontese attaccò energicamente, i primi due attacchi del nemico fallirono e i
piemontesi avanzarono per sei chilometri a sud della Sforzesca. Nelle ore
successive però il comando austriaco fece affluire progressivamente altri
cinque battaglioni che, dopo duri scontri, iniziarono ad avere la meglio; i
nuovi contrattacchi del generale Bes non ebbero successo, altri reparti
austriaci minacciarono di aggirare sulla destra le forze della 2ª Divisione e
il comandante piemontese decise al tramonto di ripiegare. Alle ore 19.00 tutte
le forze piemontesi rifluirono ordinatamente alla Sforzesca. Contemporaneamente
alle ultime fasi della battaglia
della Sforzesca, altri scontri si erano accesi lungo la strada di
Gambolò dove alle ore 18.00, un battaglione e uno squadrone austriaci furono
respinti dal contrattacco di reparti del 1º fanteria e del Genova Cavalleria e
non poterono proseguire la marcia.
Il complesso
di scontri nell'area compresa tra Borgo San Siro, la Sforzesca e Gambolò che
avevano coinvolto circa 8.500 piemontesi e 9.000 austriaci, erano costati lievi
perdite alle due parti e apparentemente si concludevano con buoni risultati
tattici per l'esercito del generale Chrzanowski; la strada per Vigevano era ora
solidamente difesa e tre divisioni erano state raggruppate in quel settore. In
realtà dal punto di vista strategico i combattimenti si erano conclusi in modo
favorevole per l'esercito austriaco; l'obiettivo di coprire l'avanzata
principale del II, III e I corpo di riserva al centro, lungo la strada di
Mortara, era stato pienamente raggiunto e gli importanti centri di Borgo San
Siro e Gambolò erano stati occupati; a causa delle persistenti difficoltà di
movimento e di organizzazione logistica, le truppe piemontesi, pur mantenendo
il controllo di Vigevano, avevano perso posizioni indispensabili per un
eventuale azione sul fianco destro delle colonne austriache. Tuttavia il
comando piemontese rimaneva fiducioso e ottimista; nel settore della Sforzesca
il nemico era stato fermato e anche in quello di Mortara che avrebbe dovuto
essere occupato da due divisioni di fanteria e tre reggimenti di cavalleria, le
difese apparivano solide. Il generale Chrzanowski aveva inviato in questo
settore il capo di Stato maggiore, generale Alessandro
La Marmora, per controllare le operazioni; alle ore 17.00 si era
udito il rombo del cannone proveniente da Mortara, ma solo alle ore 1.00 del 22
marzo arrivarono le disastrose notizie che Mortara era caduta, che gli
austriaci avanzavano in massa e che le due divisioni piemontesi erano in rotta
verso Novara e Vercelli.
A partire dalle ore 10.00 del 21 marzo il generale d'Aspre aveva
marciato con il II corpo da Gropello verso Mortara, precedendo il III corpo del
generale von Appel e il I corpo di riserva del generale von Wocher; l'avanzata si
svolse senza molta opposizione e alle ore 16.00 gli austriaci della divisione
di punta dell'arciduca Alberto arrivarono in contatto delle linee difensive
piemontesi che apparivano fortemente presidiate. Senza attendere e contando
sulla sorpresa, il generale d'Aspre decise di attaccare subito con la divisione
di testa direttamente lungo la strada Pavia-Mortara, sbarrata da un solo
battaglione piemontese della Brigata Regina. Dopo un intenso bombardamento
iniziato alle ore 17.00 e durato circa un'ora, nella prima oscurità della sera,
il generale d'Aspre, coadiuvato dal capo di Stato maggiore dell'armata,
generale Heinrich von Hess, sferrò l'attacco che,
contrastato sui fianchi, ebbe invece pieno successo al centro. Il colonnello
Benedek guidò l'attacco, condotto da circa 8.000 soldati ungheresi, boemi,
croati e lombardo-veneti, con audacia e abilità; per sfruttare la confusione e
l'indecisione nelle file della Brigata Regina del generale Trotti, il comandante
austriaco avanzò risolutamente, nonostante l'oscurità e penetrò subito a
Mortara occupando tutti i luoghi strategici, mentre i piemontesi si ritiravano
frettolosamente.
La vittoria
austriaca era stata facilitata dagli errori del comando piemontese; il generale
Durando, comandante della 1ª Divisione incaricata di difendere Mortara, aveva
tardato a portare avanti i suoi reparti e si era schierato troppo vicino alla
cittadina con le sue due brigate distese su un fronte troppo vasto e mal
collegate a causa della presenza del cavo Passerini che attraversava le linee;
inoltre la Divisione di riserva del Duca di Savoia, arrivata alle ore 13.00,
rimase inizialmente dispersa più indietro tra Castel d'Agogna e
Mortara. Dopo l'irruzione nella serata della colonna del colonnello Benedek
dentro la città, il generale La Marmora ordinò alla Brigata Aosta di
contrattaccare, ma dopo alcuni scontri confusi, il generale Lovera, comandante
della brigata, decise di evitare uno scontro notturno e preferì ripiegare
verso Cilavegna e Vespolate,
mentre gli austriaci si rinforzavano continuamente con l'afflusso di altri
13.000 soldati delle brigate Stadion e Kollowrath. Mentre al centro la
resistenza era cessata, i combattimenti continuarono molto intensi sul fianco
destro dove i piemeontesi difesero il corso del fiume Arbogna; il generale La
Marmora fece affluire di rinforzo la Brigata Cuneo appartenente alla Divisione
di riserva che tuttavia egli schierò su posizioni di copertura senza
contrattaccare.
Nella
crescente oscurità gli austriaci del generale d'Aspre ripresero gli attacchi e
sbaragliarono anche i difensori dell'Arbogna che ripiegarono in disordine; il
generale La Marmora riuscì ancora a trattenere il nemico alla Rotonda di
Sant'Albino con l'intervento di due battaglioni della Brigata Cuneo ma, per
evitare di essere accerchiato, decise infine di ripiegare su strade secondarie
verso Porta Alessandria per ricollegarsi con la Divisione di riserva. La strada
era sbarrata dai soldati del colonnello Benedek che riuscirono a bloccare la
ritirata delle truppe confuse e demoralizzate, e tra le ore 20.30 e le 21.00
costrinsero alla resa quattro battaglioni delle brigate Aosta e Regina,
catturando circa 2.000 prigionieri; solo il generale La Marmora e pochi
superstiti riuscirono a sfuggire. Durante la battaglia Vittorio Emanuele, Duca
di Savoia, non mostrò molta iniziativa e non impegnò a fondo la Divisione di
riserva; al termine degli scontri raggiunse Castel d'Agogna dove venne
raggiunto anche dai generali La Marmora e Durando; i tre alti ufficiali
decisero dopo alcune discussioni di ripiegare con le forze superstiti verso
Novara.
Alla Sforzesca le notizie della disfatta a Mortara raggiunsero il
generale Chrzanowski e il quartier generale alle ore 1.00 del 22 marzo, mentre
si stava pianificando ottimisticamente di rafforzare il fianco sinistro dello
schieramento a Vigevano e sferrare una controffensiva con quattro divisioni
contro l'ala destra nemica. Dopo aver rintracciato Carlo Alberto, il generale
Chrzanowski riunì alle ore 3.00 un decisivo consiglio di guerra per stabilire
le misure da prendere dopo il crollo a Mortara; alla riunione, a cui
parteciparono oltre al re e al comandante in capo, il generale Bes e il Duca di
Genova, si decise, dopo aver inizialmente discusso di nuove controffensive, di
ripiegare con tutto l'esercito a Novara, invece di eseguire una difficile
marcia di fianco per ritirarsi verso Vercelli. La ritirata generale ebbe inizio tra le 3.00 e le 4.00 del
22 marzo: la 2ª e la 3ª Divisione dei generali Bes e Perrone marciarono su Trecate dove giunsero a mezzogiorno, seguite dalla 4ª Divisione
del Duca di Genova che arrivò alle ore 16.00; subito dopo la 2ª e la 3ª
Divisione proseguirono su Novara. In questa città fin dall'alba erano già
arrivati i resti della Brigata Regina del generale Trotti e la Brigata Aosta
della 1ª Divisione del generale Durando sconfitte a Mortara. Il Duca di Savoia
con la Divisione di riserva invece inizialmente era rimasto incerto in attesa
di ordini e poi aveva iniziato a muovere verso Borgo Vercelli, ma dopo aver ricevuto precise disposizioni del quartier
generale, ritornò verso Novara che le sue truppe raggiunsero entro le ore 2.00
del 23 marzo. Infine al mattino arrivarono anche la 4ª Divisione e la Brigata
Solaroli, proveniente dal ponte sul Ticino; entro le ore 9.00 del 23 marzo il
grosso delle forze piemontesi avevano quindi raggiunto senza incontrare
difficoltà da parte del nemico le posizioni intorno a Novara.
In un primo
momento dopo il brillante successo di Mortara il maresciallo Radetzky ritenne
di aver affrontato e sconfitto solo una retroguardia del nemico e ipotizzò che
il grosso dell'esercito piemontese si sarebbe ritirato su Vercelli e poi dietro
il Po a Casale Monferrato per
avvicinarsi alla base di operazioni di Alessandria e collegarsi con le forze
rimaste a sud del fiume, costituite dalla divisione lombarda ora comandata dal
generale Fanti, dalla 6ª Divisione del generale Alfonso La Marmora, dalla
Brigata Belvedere. Il comandante austriaco sperava di intercettare la marcia di
fianco dell'esercito nemico continuando l'avanzata lungo la strada di Novara.
Quindi il maresciallo alle ore 4.00 del 22 marzo ordinò al II corpo del
generale d'Aspre di marciare su Vespolate, con subito dietro il III corpo del
generale von Appel e il I corpo di riserva del generale von Wocher; il I corpo
del generale Wratislaw avrebbe dovuto continuare a proteggere il fianco destro
dell'armata, mentre il IV corpo del generale Thurn Valsassina, schierato sul
fianco sinistro, avrebbe deviato e si sarebbe inserito a Vespolate dietro il II
corpo. Il dispositivo di marcia studiato dal maresciallo Radetzky manteneva una
stretta coesione tra i corpi e permetteva di affrontare possibili sorprese
nemiche lungo la direzione Mortara-Novara. All'alba del 23 marzo gli elementi
di testa del generale d'Aspre giunsero a otto chilometri da Novara, mentre le
retroguardie del I corpo di riserva distavano ancora diciannove chilometri
dalla città; sui fianchi, mentre il IV corpo era vicino a Vespolate, il I corpo
era ancora lontano sulla destra.
La mancanza di precise informazioni sulle
intenzioni e la reale dislocazione dell'esercito piemontese, le notizie su una
probabile ritirata del nemico verso Vercelli e le valutazioni del generale
d'Aspre sulla presenza solo di deboli retroguardie a Novara, convinsero
tuttavia il maresciallo Radetzky ad effettuare, da Borgo Lavezzaro alle ore 8.00 del 23 marzo, un importante
cambiamento dei suoi piani. Egli quindi decise di organizzare una grande
conversione del suo esercito verso Vercelli; il IV e il I corpo avrebbero
marciato a sinistra e sarebbero stati seguiti dietro dal III corpo e dal I di
riserva, solo il II corpo avrebbe continuato su Novara e dopo aver occupato
quella città, avrebbe assunto una funzione di copertura del fianco; il giorno
seguente avrebbe svoltato dietro agli altri corpi verso Vercelli. Il
maresciallo prevedeva di concentrare oltre la Sesia entro
la notte del 24 marzo quattro corpi d'armata; venne anche dato ordine al
generale Franz von Wimpffen,
comandante delle truppe rimaste a Pavia, di dirigersi verso Casale.
Per eseguire questi nuovi ordini quindi il IV
corpo del generale Thurn Valsassina si mosse per primo a partire dalle ore 9.00
del 23 marzo verso Vercelli mentre sulla strada meridionale iniziò a deviare
verso quella città alle ore 10.00 anche il I corpo del generale Wratislaw; alla
stessa ora il generale d'Aspre avanzò con il II corpo a nord verso Novara. Il
III corpo invece in un primo momento attese notizie sugli sviluppi della
situazione a nord e non si mosse dalla zona tra Vespolate e Borgo Lavezzaro;
anche il I corpo di riserva rimase fermo a sud di Albonese in attesa che il I corpo liberasse la strada da
percorrere verso Vercelli. Quindi, anche se la direzione generale di marcia era
cambiata, almeno tre corpi austriaci erano ancora relativamente concentrati e
in grado di sostenersi in caso di sorprese nemiche; tuttavia l'avanzata iniziale
del solo II corpo su Novara poteva diventare pericolosa in caso di un
improvviso ed energico attacco del grosso dell'esercito piemontese.
Al mattino del 23 marzo l'esercito piemontese completò il suo
schieramento difensivo davanti alla città di Novara, nel territorio compreso
tra i fiumi Agogna e Terdoppio, con tre divisioni attestate in posizione avanzata e due
divisioni di riserva in seconda fila, mentre la Brigata Solaroli proteggeva il
fianco sinistro verso Trecate. Le posizioni piemontesi erano divise dalla
presenza del vallone dell'Arbogna che formava una stretta percorsa dalla strada di
Mortara e occupata dalle case della Bicocca; l'ala sinistra piemontese difendeva il settore tra il
Terdoppio e il vallone dell'Arbogna con la 3ª Divisione del generale Perrone
che aveva schierato la Brigata Savona alla Biccoca e la Brigata Savoia in
seconda fila. Il settore di centro e di destra, compreso tra il vallone
dell'Arbogna e il cavo Dossi, un canale parallelo all'Agogna, era invece
occupato dalla 2ª Divisione del generale Bes e dalla 1ª Divisione del generale
Durando che disponeva della Brigata Aosta e dei resti della Brigata Regina,
decimata a Mortara. Dietro questo schieramento il generale Chrzanowski
aveva posizionato in seconda linea la 4ª Divisione del Duca di Genova,
attestata dietro la divisione del generale Perrone, e la Divisione di riserva
del Duca di Savoia che allineava, dietro la divisione del generale Durando, la
forte Brigata Guardie e la Brigata Cuneo che aveva invece subito forti perdite
nella precedente battaglia; i sette battaglioni della Brigata Solaroli e due
battaglioni di bersaglieri completavano le forze disponibili.
Nel complesso
lo schieramento piemontese era costituito da 65 battaglioni, 39 squadroni e 14
batterie, con 45.000 fanti, 2.500 cavalieri e 109 cannoni; il generale
Chrzanowski aveva adottato una formazione particolarmente serrata con un fronte
di soli tre chilometri e con le divisioni schierate con una brigata in prima
linea ed una seconda brigata subito dietro; egli intendeva combattere
inizialmente una battaglia difensiva e prevedeva la possibilità di
contrattacchi con le sue forze di seconda linea. Le forze totali a disposizione
del maresciallo Radetzky erano numericamente superiori e ammontavano a 66
battaglioni, 42 squadroni e 205 cannoni, con 70.000 fanti e 5.000 cavalieri,
ma, a causa del piano d'operazioni adottato dal maresciallo che prevedeva una
conversione massiccia verso Vercelli, in pratica solo tre corpi d'armata (il
II, il III e il IV) si trovarono in posizione utile per raggiungere il campo di
battaglia con una forza complessiva di 37 battaglioni, 16 squadroni e 108
cannoni.
La battaglia ebbe inizio alle ore 11.00 della
mattinata piovosa e fredda del 23 marzo con la comparsa delle prime colonne
austriache del II corpo del generale d'Aspre lungo la strada di Mortara; si
trattava della divisione dell'arciduca Alberto che avanzava con la Brigata
Kollowrath in testa. La strada era tuttavia efficacemente difesa dai due
battaglioni della Brigata Savona che erano rinforzati in seconda e terza fila
dalla Brigata Savoia e dalle due brigate della 4ª Divisione, la Brigata
Piemonte e la Brigata Pinerolo; inoltre un battaglione di bersaglieri era
schierato più avanti, presso Olengo e il 15º reggimento Savona
aveva occupato, un chilometro oltre la Bicocca, le posizioni del Castellazzo e
della Cavallotta. Il generale d'Aspre riteneva di avere di fronte solo modeste
forze di retroguardia e che il grosso delle forze nemiche fosse in ritirata
verso Vercelli; quindi non perse tempo e decise di attaccare subito lungo la
strada di Mortara con cinque battaglioni schierati su tre colonne della sola
Brigata Kollowrath che attaccarono con grande energia, superarono la resistenza
dell'avanguardia dei bersaglieri e affrontarono il combattimento con il 15º
reggimento Savona. I piemontesi si batterono con valore; gli scontri divennero
subito molto intensi e gli austriaci guadagnarono terreno; sulla sinistra due
battaglioni ungheresi occuparono la Cavallotta e raggiunsero 400 metri più a
nord Villa Visconti dove vennero contenuti dall'intervento del Genova
Cavalleria, mentre sulla destra dopo un duro combattimento venne raggiunto e
conquistato anche il Castellazzo. Il generale Perrone e il re si recarono sul
posto e organizzarono il contrattacco per fermare l'avanzata austriaca dalla
Cavallotta su Villa Visconti; con il 16º reggimento Savona, un battaglione
della Brigata Savoia e l'intervento di numerose batteria di artiglieria, il
nemico venne bloccato e contrattaccato. La battaglia si frantumò in una serie
di combattimenti confusi e in duelli d'artiglieria ma verso le ore 12.00 i
piemontesi, malgrado alcuni cedimenti nei reparti della Brigata Savona,
riuscirono a respingere i due battaglioni ungheresi dietro la Cavallotta.
Di fronte all'inattesa resistenza, il generale d'Aspre divenne
consapevole della forza e delle dimensioni delle truppe avversarie e comunicò
le notizie al maresciallo Radetzky richiedendo l'invio di potenti rinforzi per
fronteggiare la situazione; egli avvertì anche i comandi del III corpo e del IV
corpo, invitandoli a deviare subito verso Novara. Contemporaneamente il
comandante del II corpo decise di continuare la battaglia, portò avanti la
seconda brigata della divisione dell'arciduca Alberto e richiamò verso Olengo
anche la divisione del generale Johann Franz Schaffgotsche che seguiva dietro lungo la strada di Mortara.
Il maresciallo Radetzky aveva già deciso di modificare i suoi piani; allarmato
dal crescente tuonare dell'artiglieria dalla direzione di Novara, il comandante
in capo austriaco ordinò alle ore 12.00 al III corpo del generale von Appel di
intervenire al più presto a sostegno del II corpo e agli altri corpi di deviare
verso nord per raggrupparsi. Il I corpo di riserva avrebbe dovuto seguire
dietro il III corpo, mentre il IV corpo del generale Thurn Valsassina doveva
manovrare, dopo aver cambiato la direzione di marcia, per aggirare il fianco
destro dello schieramento piemontese. Il complesso rischieramento del grosso
delle forze austriache era però ostacolato dalle difficoltà di comunicazione
lungo le strade disponibili e dalla distanza tra i vari corpi; solo il III
corpo era relativamente vicino e poteva intervenire in breve tempo in aiuto del
generale d'Aspre.
Mentre il generale d'Aspre richiedeva rinforzi e accelerava l'afflusso
della sua seconda divisione, dopo le ore 12.30 l'arciduca Alberto riprese i
suoi attacchi facendo intervenire davanti a Villa Visconti la Brigata Stadion e
ordinando alla Brigata Kollowrath di avanzare di nuovo verso il Castellazzo.
Sulla sinistra il generale Stadion riuscì a conquistare Villa Visconti e ad
avvicinarsi alla Bicocca con due battaglioni di fanteria e un battaglione di
cacciatori; gli austriaci avanzarono avvicinandosi pericolosamente a Villa San
Giuseppe dove lo stesso Carlo Alberto si trovò temporanemante in pericolo. Alle
ore 12.30 il generale Perrone per stabilizzare la situazione fece intervenire i
battaglioni della Brigata Savoia che tuttavia in un primo tempo vennero a loro
volta respinti, alcuni reparti si sbandarono e ripiegarono in disordine verso
Novara ma alla fine, con l'appoggio dell'artiglieria, la brigata riuscì a
consolidare le sue posizioni e a riprendere il contrattacco insieme ad uno
squadrone di cavalleria; Villa Visconti venne liberata e le truppe si
avvicinarono di nuovo alla Cavallotta dove vennero fermati da un reggimento
ungherese.
Le truppe
austriache della divisione dell'arciduca Alberto erano esauste dopo i duri
scontri e il generale d'Aspre si affrettò alle ore 13.00 a far entrare in campo
la divisione del generale Schaffgotsche che portò avanti tra Olengo e la
Cavallotta la Brigata Simbschen e la Brigata Liechtenstein. Anche la 3ª
Divisione del generale Perrone era logorata e in parte disorganizzata dopo ore
di battaglia ma i piemontesi avevano immediatamente disponibili potenti riserve
che avrebbero potuto contrattaccare, ma il generale Chrzanowski, depresso e
intimorito dall'energia degli attacchi austriaci e dai segni di disordine nelle
sue file, non pensava a prendere l'iniziativa. Anche sulla sinistra austriaca
un debole reparto con otto compagnie e due cannoni al comando del generale
Kielmansegge che aveva raggiunto il cavo Dossi non venne contrattaccato in
forze e il generale Durando con la 1ª Divisione si limitò, secondo gli ordini,
a bloccare l'avanzata nemica.
Il nuovo attacco del generale d'Aspre con il
rinforzo di cinque battaglioni della divisioni Schaffgotsche, a sinistra ed a
destra della strada di Mortara, mise di nuovo in difficoltà i piemontesi; gli
austriaci avanzarono ancora fino alla Bicocca, la 3ª Divisione venne
ulteriormente indebolita e il generale Perrone rimase gravemente ferito alla
testa mentre cercava di rioganizzare le sue truppe. Nel frattempo sulla destra
austriaca la Brigata Kollowrath conquistò inizialmente il Castellazzo, difeso
solo dai resti della Brigata Savona, e giunse alle ore 13.30 fino a 2
chilometri ad est della Bicocca, ma due compagnie austriache vennero duramente respinte
dalla Brigata Solaroli intervenuta su iniziativa del suo comandante; le truppe
austriache ripersero parte del terreno conquistato.
Fin dalle ore 12.00 il comando piemontese
aveva ordinato al Duca di Genova di intervenire a sostegno della divisione del
generale Perrone che subiva la crescente pressione delle forze austriache e
dava segni di cedimento; alle ore 13.30 la 4ª Divisione passò quindi
all'attacco con in testa la Brigata Piemonte del generale Giuseppe Passalacqua e
dietro a sinistra la Brigata Pinerolo del generale Luigi Damiano;
il 3° e
il 4º reggimento della Brigata Piemonte marciarono davanti,
a sinistra e a destra della strada maestra, guidati personalmente dal generale
e dal Duca di Genova; in seconda linea avanzarono il 13º e il 14º reggimento
Pinerolo. L'attacco piemontese venne coronato da successo, la fanteria sloggiò
il nemico da Villa Visconti e raggiunse di nuovo i pressi della Cavallotta,
mentre al Castellazzo l'avanzata venne inizialmente bloccata dall'artiglieria
austriaca impiegata a distanza ravvicinata; durante questi scontri cadde ferito
a morte lo stesso generale Passalacqua che guidava dalla prima linea i suoi
uomini. Dopo un nuovo attacco austriaco, l'intervento del 13° Pinerolo, sostenuto
dall'11º reggimento della Brigata Casale appartenente alla 2ª Divisione del
generale Bes permise di respingere i nemici e raggiungere la Cavallotta; sulla
sinistra piemontese entrò in azione il 14° Pinerolo e gli austriaci subirono
forti perdite, vennero catturati prigionieri e gli altri ripiegarono verso
Olengo, il Castellazzo venne riconquistato.
Alle ore 15.00 la situazione appariva nel complesso favorevole
all'esercito piemontese; nonostante la combattività dimostrata, le due
divisioni del II corpo del generale d'Aspre, in azione per ore contro il grosso
dell'esercito nemico, erano stanche e avevano dovuto ripiegare fino alla linea
Cavallotta-Olengo; alle ore 14.30 il comandante del II corpo aveva sollecitato
con urgenza l'invio di rinforzi per continuare la battaglia e aveva richiesto
al generale von Appel di accelerare l'intervento del suo III corpo.
Ostacolato dalla confusione e da ingorghi lungo la strada di Mortara, solo il
battaglione di cacciatori del III corpo era vicino a Olengo, mentre il IV corpo
era molto più lontano sul fianco sinistro e alle ore 14.30 aveva raggiunto Cameriano. Il I corpo, in marcia su Monticello, e il I corpo di riserva, giunto a Vespolate, per il momento
non apparivano in grado di intervenire in tempo nella battaglia.
Il comando piemontese aveva quindi la possibilità, disponendo ancora di
quasi tre divisioni fresche e pronte ad essere impiegate subito in azione, di
sferrare una grande controffensiva generale che avrebbe potuto concludersi con
la disfatta definitiva del II corpo austriaco prima dell'arrivo in forze sul
campo del III corpo. Il generale Chrzanowski invece rimaneva pessimista e,
impressionato dalle sconfitte locali di alcuni reparti sotto i vigorosi
attacchi austriaci e dalla presenza di fenomeni di disgregazione e disordine
nelle retrovie, non si riteneva in grado di contrattaccare; avendo scarsa
fiducia nelle qualità delle sue truppe e non molto bene informato della reale
situazione sul campo, il generale intendeva limitarsi a respingere gli attacchi
nemici e resistere fino alla notte, sperando di costringere il maresciallo
Radetzky a desistere dagli attacchi e ripiegare. Il generale Chrzanowski in
realtà considerava fallito il suo piano già in precedenza a causa del cedimento
della 3ª Divisione del generale Perrone che aveva richiesto il prematuro
intervento della 4ª Divisione del Duca di Genova; egli non comprese che
l'armata, rimanendo sulla difensiva su posizioni prive di solide fortificazioni,
sarebbe stata alla fine sopraffatta dalla superiorità numerica dell'esercito
austriaco che si stava progressivamente concentrando.
Quindi il
generale Chrzanowski, invece di passare alla controffensiva generale, ordinò al
Duca di Genova, la cui 4ª Divisione stava incalzando il II corpo austriaco, di
arrestare i suoi attacchi e ripiegare sulla linea Torrion Quartara-Cavallotta-Cavallozzo, anche il generale Bes
ricevette la disposizione di attestarsi a difesa con la 2ª Divisione; solo
reparti di bersaglieri di retroguardia affrontarono quindi, prima di ritirarsi,
i cacciatori austriaci di testa del III corpo giunti a Olengo e subito entrati
in combattimento. Mentre il III corpo del generale von Appel aveva tempo di
schierare le sue potenti forze a sostegno del II corpo, il generale Chrzanowski
si preoccupò di rinforzare il settore della Bicocca dove vennero inviati, distaccati
dalla Divisione di riserva del Duca di Savoia, un battaglione di cacciatori
delle Guardie e un battaglione del 7º reggimento della Brigata Cuneo.
Dopo una pausa di circa un'ora, alle ore
16.00 il maresciallo Radetzky, che era giunto a Olengo con il suo stato
maggiore e aveva preso la direzione diretta della battaglia, diede ordine di
riprendere gli attacchi; la divisione del generale von Lichnowsky, elemento di
testa del III corpo d'armata del generale von Appel, era arrivata in forze con
sette battaglioni, 9.000 soldati e 22 cannoni, e, dopo essersi schierata dalle
due parti della strada di Mortara, passò all'offensiva, rinforzata dai reparti
ancora efficienti del II corpo. I piemontesi, pur battendosi accanitamente con
il concorso di una serie di batterie di artiglieria, furono duramente pressati
e persero terreno; sulla sinistra la Brigata Alemann avanzò oltre la Cavallotta
e raggiunse Villa Visconti dove però venne fermata dalla resistenza dell'11º
reggimento della Brigata Casale; sulla destra la Brigata Maurer guadagnò
terreno e occupò Cascina Farsà;
tuttavia l'intervento dei reparti della Divisione di riserva del Duca di
Savoia, i cacciatori delle Guardie e il 7º reggimento della Brigata Cuneo,
permise di respingere gli austriaci da Villa Visconti di nuovo verso la
Cavallotta. Il continuo rafforzamento delle truppe austriache e la costante
pressione esercitata sempre nella stessa area da truppe fresche e numerose,
minacciava però di disgregare lentamente il più debole schieramento piemontese.
Il generale Chraznowski decise finalmente
alle ore 17.00 di aiutare le truppe in combattimento nel settore della Bicocca
e di contrattaccare sul fianco sinistro austriaco con la 2ª Divisione del
generale Bes e con la 1ª Divisione del generale Durando; questa tardiva manovra
ottenne qualche successo temporaneo ma venne ben presto frustrata da ordini
contraddittori e dall'avvicinamento da sud dei primi reparti del IV corpo
d'armata austriaco del generale Thun Valsassina, giunti ormai al ponte
dell'Agogna lungo la strada Vercelli-Novara. Il generale Durando fece avanzare
la Brigata Aosta che riconquistò Torrion Quartara, superando la resistenza del
distaccamento di fiancheggiamento del colonnello Kielmansegge che rimase ucciso
negli scontri, mentre il generale Trotti portò i resti della Brigata Regina al
Cavo Dossi; il generale Bes, i cui soldati apparivano desiderosi di
contrattaccare, iniziò a muovere verso sud-est con la brigata composta.
Ben presto il
movimento delle riserve piemontese venne però interrotto; provenendo dal ponte
dell'Agogna stava infatti entrando in campo il IV corpo austriaco che sembrava
minacciare il fianco destro e le retrovie della divisione del generale Durando;
la cavalleria austriaca, seguita dai primi elementi della Brigata Gräwert,
attaccarono a nord del ponte dell'Agogna i reparti di copertura piemontesi e la
1ª Divisione venne fermata e ritornò indietro per contrastare la nuova minaccia.
Inoltre la situazione dei piemontesi stava peggiorando anche sul fianco
sinistro dove tre battaglioni della Brigata Maurer, dopo aver conquistato
Cascina Farsà, si stavano infiltrando alle spalle delle posizioni della
Bicocca, mentre i Cacciatori tirolesi si spingevano
risolutamente in avanti mettendo in pericolo le batterie di artiglieria. Il
generale Alessandro La Marmora, scosso dalle notizie dell'avanzata austriaca,
prese l'iniziativa di ordinare al generale Bes di arrestare la marcia e retrocedere
per proteggere le linee di comunicazione dell'armata; il generale Bes quindi,
dopo qualche esitazione, iniziò a ripiegare con la 2ª Divisione, mentre il 12º
reggimento della Brigata Casale copriva la manovra.
Il maresciallo Radetzky intanto stava
raggruppando le sue forze per sfruttare i segni di cedimento dei piemontesi e
sferrare l'attacco finale contro la Bicocca con il concorso di nuove truppe,
comprese la riserva d'artiglieria con 64 cannoni e cinque battaglioni del I
corpo di riserva appena arrivati. Il maresciallo concentrò venticinque
battaglioni che, preceduti da un violento bombardamento d'artiglieria,
attaccarono in massa contro le difese principali della Bicocca costituite dal
4º reggimento Piemonte e dal 14º reggimento Pinerolo della 4ª Divisione del
Duca di Genova, con i resti della Brigata Savona, una parte dell'11º reggimento
Casale e due compagnie di bersaglieri. Le difese piemontesi attendevano il
rinforzo del 2º reggimento Guardie e del 7º reggimento Cuneo, ma la Brigata
Solaroli non venne richiamata e rimase inutilizzata sull'estremo fianco destro
dello schieramento.
L'armata austriaca di fronte alle posizioni
nemiche si stava continuamente rafforzando; a Olengo era in arrivo la Brigata
Sigismondo del I corpo di riserva del generale von Wocher, mentre l'attacco
finale venne sferrato con il concorso finale anche dei 4.000 soldati della
Divisione Taxis del III corpo d'armata. L'offensiva austriaca contro la Bicocca
si sviluppò dalla Cascina Farsà con la Brigata Simbschen al comando del
generale Friedrich von
Bianchi del II corpo, con la Brigata Alemann del III corpo che,
guidata dal colonnello Benedek dopo il ferimento del comandante titolare,
avanzò dalla Cavallotta verso Villa Visconti, con la Brigata Maurer che
continuò il movimento aggirante alle spalle della Bicocca, con la Brigata
Kollowrath che all'estrema destra impegnò la Brigata Solaroli. Villa Visconti
venne finalmente conquistata dai soldati del colonnello Benedek.
Alle ore 18.00
la Bicocca, aggirata dalla manovra della Brigata Maurer e attaccata
frontalmente da forze preponderanti, venne infine abbandonata dagli elementi
delle Brigate Piemonte e Pinerolo, che iniziarono a ripiegare; in questa fase i
generale Chrzanowski e La Marmora ebbero l'impressione che le truppe avessero
rinunciato a battersi e ci furono voci di tradimenti, ma in realtà la posizione
era insostenibile e i soldati erano in parte stanchi e demoralizzati. Gli
austriaci avanzarono ancora verso il cimitero, contrastati ora anche dal
battaglione della Brigata Guardie e dal 7º reggimento Cuneo che erano
finalmente arrivati; nonostante l'intervento di questi reparti freschi, anche
il cimitero, che non era stato organizzato a difesa, venne aggirato sulla
sinistra da cinque battaglioni di riserva austriaci e la rotta fu finalmente
fermata solo dall'arrivo sul campo dell'ultima riserva disponibile, il 3º
reggimento della Brigata Piemonte, guidato personalmente dal Duca di Genova.
Questo reparto, sostenuto in un secondo tempo anche dal 2º reggimento grantieri
della Brigata Guardie, riuscì a trattenere il nemico dando modo alle truppe in
disordinata ritirata verso Novara di recuperare in parte la coesione.
Durante le fasi decisive dei combattimenti
alla Bicocca, il IV corpo austriaco del generale Thurn Valsassina era avanzato
in forze a nord del ponte dell'Agogna con le brigate Gräwert e Degenfeld della
divisione di testa del generale von Culoz e aveva messo in pericolo l'ala
destra piemontese; tuttavia il Duca di Savoia era riuscito a costituire uno
sbarramento dietro il cavo Dossi con il 1º reggimento granatieri della Brigata
Guardie, dieci squadroni di cavalleria, nove cannoni, e fermò l'avanzata nemica.
Queste ultime resistenze permisero il ripiegamento delle altre forze piemontesi
su Novara; il generale Durando si ritirò con la 1ª Divisione lentamente e con
difficoltà, sottoposto agli attacchi austriaci e al fuoco dei cannoni, ma alle
ore 20.00 la divisione, protetta dalle retroguardie della Brigata Aosta,
raggiunse la città. Anche le forze del generale Bes, del Duca di Savoia e del
Duca di Genova completarono la ritirata su Novara, mentre la Brigata Solaroli,
priva di ordini precisi, dopo aver attraversato la città proseguì per Càmeri.
Dopo le ore 20.00 i resti dell'esercito
piemontese, disorganizzati e demoralizzati, erano ormai rifluiti nelle tenebre
all'interno delle mura della città, anche se reparti della 3ª e 4ª Divisione si
trovavano ancora a Porta Sempione, gruppi di soldati erano sulla strada
di Borgomanero e il generale Bes controllava altre forze
sulla strada di Romagnano Sesia. Durante
la battaglia Carlo Alberto, cupo e rassegnato, aveva cercato, secondo la
testimonianza diretta del generale Durando, la morte in combattimento; molto
pessimista, da molte ore si era convinto dell'inevitabilità della sconfitta; la
sera a Novara, dopo la disfatta, apparve invece più tranquillo e rilassato.
In realtà
Carlo Alberto fin dalle ore 18.00, dopo aver consultato il generale Chrzanowski
e il ministro al campo Carlo Cadorna, aveva deciso di inviare al quartier generale austriaco
il generale Luigi Fecia di Cossato,
sottocapo di stato maggiore, per richiedere una cessazione delle ostilità; Il
generale era ritornato alle ore 20.30 dopo aver avuto un colloquio alla Bicocca
con il generale Hess, capo di stato maggiore del maresciallo Radetzky, che
aveva notificato dure richieste di occupazione territoriale di parte del
territorio piemontese.
Durante una riunione tenutasi alle ore 21.15
con la presenza del re, due aiutanti di campo, il generale Chrzanowski, il
generale Alessandro La Marmora, il Duca di Genova e il Duca di Savoia, Carlo Alberto,
constatato che nessuno riteneva possibile riprendere la battaglia e raggiungere
un esito favorevole, decise di abdicare a favore del figlio e andare in esilio;
le trattative quindi sarebbero riprese, mentre gli austriaci nel frattempo il
mattino del 24 marzo continuavano le operazioni. Nella notte e nella mattinata
del 24 marzo le truppe piemontesi rifluite a Novara mostrarono segni di
esaurimento e indisciplina; esasperate dalla mancanza di adeguata assistenza
medica e privi di cibo dal giorno prima, avendo combattuto la battaglia in gran
parte a digiuno, una parte delle truppe si abbandonò a violenze e saccheggi
all'interno della città. Si verificarono gravi disordini ed anche veri atti
criminali, ad opera di piccoli gruppi di soldati riottosi, che vennero sedati
dall'intervento di altri reparti militari.
A partire
dalle ore 8.00 del 24 marzo l'esercito austriaco riprese a muovere, manovrando
sulle due ali per isolare completamente le truppe piemontesi e impedire un loro
ripiegamento da Novara; il IV corpo del generale Thurn Valsassina entrò nella
città e marciò per intercettare la strada di Borgomanero, mentre altre truppe
austriache del II corpo del generale d'Aspre attraverso Porta Mortara si
dirigevano verso la via di Arona. In questo modo, venne bloccata sia la
strada per Romagnano, oltre la Sesia,
sia quella oltre il Ticino attraverso Sesto Calende.
In realtà il comando piemontese non aveva
organizzato alcuna ulteriore manovra di ripiegamento; si era invece in attesa
dell'incontro tra il Duca di Savoia, ora divenuto il nuovo re Vittorio Emanuele II, e il
maresciallo Radetzky per concordare la fine della guerra; questo incontro
avvenne a Vignale (paesino a nord di Novara) tra le 14.00 e le 15.00 del 24
marzo. Il nuovo re cercò di mitigare le clausole imposte dagli austriaci,
richiedendo tempo per riorganizzare il suo Stato ed evocando possibili crisi
rivoluzionarie a Torino in caso di condizioni troppo dure; il maresciallo
Radetzky si dimostrò realista; fece inserire nelle clausole l'occupazione
temporanea del territorio tra Sesia e Ticino, ma nel complesso il maresciallo,
consapevole delle difficoltà del giovane re, sembrò ben disposto e più benevolo
del capo di stato maggiore Heinrich von Hess. L'Armistizio di Vignale venne
concluso il giorno 26 marzo 1849 e in parte venne incontro alle richieste di
Vittorio Emanuele.
La seconda
campagna della Prima guerra d'indipendenza era durata quindi solo quattro
giorni e si era conclusa con una dura sconfitta nonostante le dimostrazione di
valore delle truppe e il distinto comportamento di alcuni comandanti, come i
generali Perrone e Passalacqua, caduti sul campo, il generale Bes e i duchi di
Genova e di Savoia. Le perdite della battaglia erano state pesanti per entrambe
le parti: 2.392 morti, feriti e prigionieri tra i piemontesi e 3.223 per
l'esercito austriaco. A causa delle indecisioni e degli errori del re Carlo
Alberto e della scarsa autorità del generale Chrzanowski, l'esercito piemontese
mancò però ancora una volta di una direzione energica ed efficace in grado di
condurre con successo la guerra contro un comandante esperto come il generale
Radetzky e il suo efficiente esercito.
La disfatta di Novara, oltre a segnare la
conclusione disastrosa della cosiddetta "guerra regia", ebbe decisive
conseguenze in tutta la penisola e segnò la fine di ogni speranza di esito
vittorioso della lotta per l'unificazione nazionale; entro aprile 1849 vennero
schiacciate dagli austriaci le rivolte in Lombardia mentre si sgretolarono
rapidamente i governi democratici insediatesi negli altri stati d'Italia. In
Toscana il granduca Leopoldo II, rientrò
a Firenze il 25 maggio insieme alle truppe austriache; già
alla metà di maggio i Borboni di Napoli avevano restaurato la loro autorità
sulla Sicilia, mentre anche la Repubblica Romana e
la Repubblica di San Marco terminavano
la loro esistenza rispettivamente il 3 luglio e il 23 agosto 1849 dopo aver
combattuto strenuamente contro gli eserciti delle potenze straniere.
In Piemonte dopo la sconfitta di Novara, il
nuovo re Vittorio Emanuele sembrò deciso in un primo momento ad instaurare un
regime reazionario; venne costituito un nuovo governo guidato dal
generale Claudio Gabriele de Launay e
fu violentemente repressa la rivolta popolare scoppiata a Genova. In maggio
1849 invece, con la nomina di Massimo d'Azeglioa nuovo
Presidente del Consiglio, il sovrano decise di mantenersi nel quadro della
lealtà costituzionale allo Statuto e di continuare una politica nazionale e
patriottica, pur rimanendo in acceso contrasto con la maggioranza democratica
del Parlamento di Torino. Dopo il proclama di Moncalieri e
con l'ascesa al potere del Conte di Cavour il
Regno di Sardegna riprese la politica unitaria e nazionale che avrebbe
finalmente raggiunto risultati positivi nel successivo decennio dell'Ottocento.
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